Partiti e politici
La profonda crisi di consensi del Pd
Non è messo bene, il Partito Democratico. Dalla ripresa dell’attività politica, subito dopo le ferie, pare non ne abbia azzeccata una. E i consensi in suo favore continuano a diminuire. Non soltanto a (ovvio) beneficio delle formazioni alla sua sinistra, che peraltro stentano a capitalizzarne la crisi, ma verso troppe altre direzioni, per poter riuscire facilmente a far tornare all’ovile le pecorelle smarrite.
Con la (consueta) eccezione del caso milanese, dove il Pd continua a funzionare bene nella sua costante interazione con il sindaco Beppe Sala, nel resto del paese il partito non riesce a mantenere quel favore che aveva avuto il suo punto più elevato in occasione delle Europee del 2014. Da allora, gli è rimasto fedele solo poco più della metà del suo elettorato, mentre quasi il 10% preferisce oggi la sua sinistra (Articolo 1 in primo luogo), un’altra quota molto simile si orienta verso i 5 stelle, una piccola percentuale si rivolge alla sua destra e un folto gruppo (il restante 20%) vira verso l’area grigia dell’astensionismo e dell’indecisione.
Le stime più benevole ci dicono che il suo consenso attuale non supera di molto quel risultato di Bersani alle scorse politiche, che già allora non aveva certo fatto gridare al successo; ma quelle meno benevole raccontano di un Pd ancora più limitato, inferiore sia pur di poco al 25%. E le analisi dei collegi uninominali, quelli del nuovo sistema di voto con il Rosatellum bis, non sono certo promettenti.
La ventilata coalizione con Alleanza Popolare di Alfano non sembra funzionare, e le simulazioni raccontano di una loro possibile vittoria solamente in una cinquantina dei 231 collegi della Camera, localizzati soprattutto nelle sue classiche zone di radicamento storico (Toscana, soprattutto, perché anche in Emilia-Romagna la sofferenza pare elevata) e in alcune delle grandi città. La situazione al Senato appare non certo migliore, con la probabile conquista di meno di 30 collegi, sui 110 a disposizione.
Le motivazioni di questo costante allontanamento del suo precedente elettorato è presto detta: scarse scelte strategiche, continue opzioni tattiche (a volte incomprensibili ai più, come appunto la recente riforma elettorale a colpi di maggioranza), litigi interni di difficile comprensione, polemiche di dubbia interpretazione, come la guerra a Visco e, infine, la mancanza di un progetto condiviso o condivisibile da ampi strati di popolazione.
Difficile che, se questo comportamento non cambia, possa mutare in maniera significativa anche l’orientamento di voto di quella parte di italiani che, comunque, guarda al Partito Democratico come una possibile scelta contro i diversi populismi. Paradossalmente, pare suscitare sempre un buon favore il governo, di cui peraltro lo stesso Pd detiene le quote di maggioranza. A parte l’inciampo sulla manovra elettorale, l’esecutivo retto da Gentiloni è ben visto da una percentuale della popolazione che, nel suo complesso, supera il 40%, ivi compresi gli astenuti e gli indecisi.
Nella imminente competizione per le elezioni politiche, candidare l’attuale “Partito di governo” sarebbe forse la soluzione migliore. Certamente avrebbe più seguito elettorale del Partito Democratico.
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