Partiti e politici

La politica non perdona: la caduta dei leader iper-comunicativi

22 Agosto 2019

Siamo nella società del narcisismo diffuso, della iper-emotività, della superficialità, della rapidità di consumo di beni e informazioni. Siamo in un momento in cui la memoria collettiva non ha valore perché tutto è vero oggi e dimenticato domani, il futuro fa paura e quindi è meglio non pensarci, tutto cambia molto velocemente senza lasciare traccia di ciò che era prima. In un contesto sociale di questo genere – nel quale i cittadini sono diventati prima pubblico, poi consumatori, perdendo via via le prerogative critiche e di controllo proprie della cittadinanza – la politica si è fatta sempre più simile alla società: superficiale, preoccupata solo del presente, auto-centrata. Questo ha significato la sua perdita di capacità di astrazione e di sintesi e quindi la possibilità di essere guida e governo delle dinamiche e dei fenomeni sociali ed economici, nazionali e internazionali.
Dopo il ventennio berlusconiano, dominato da un leader televisivo che ha fatto delle strategie di comunicazione la chiave della costruzione del consenso, i politici del Duemila, imparata la lezione, cavalcano i nuovi media e nel web e i nei social non solo usano le potenzialità comunicative messe a disposizione dai nuovi strumenti, ma hanno interpretato e messo in atto le pratiche relazionali che essi permettono, ancorando il proprio messaggio e la propria rappresentazione all’immaginario collettivo, sfruttando archetipi narrativi e icone pop. Così i politici che hanno avuto più successo elettorale negli ultimi anni non sono coloro che hanno saputo meglio convincere l’elettorato della bontà delle proprie posizioni e della propria progettualità, ma sono quelli che hanno saputo con più sistematicità costruire una percezione di sé dentro un frame di semplificazione semantica facilmente individuabile e comprensibile.

Negli ultimi anni sono stati Matteo Renzi e Matteo Salvini a monopolizzare la comunicazione prima e la politica poi, con stili e strategie differenti, parlando a persone con bisogni e aspettative diverse. Entrambi hanno saputo costruire percezioni coerenti e efficacemente strumentali alla raccolta del consenso, fino a quando non sono caduti vittima di quello stesso sistema di semplificazione e di rapidità di consumo che hanno sfruttato.

Matteo Renzi è stato un bravo narratore, ha proposto un frame cognitivo – la rottamazione – che parlando di rinnovamento e modernità, semplificava la complessità istituzionale, partitica e politica. Ha utilizzato molto i social network con l’intento di proiettare un’immagine di sé che fosse al tempo stesso di prossimità e autorevolezza. Il grande consenso elettorale registrato alle elezioni europee del 2014 ha causato, però, un eccesso di narcisismo autolesionista che lo ha spinto a scelte sbagliate, errori strategici, incoerenze politiche.

Matteo Salvini non è solo il capo della Lega, è anche, di fatto, il leader delle forze populiste nazionali, ha costruito con pazienza e determinazione la sua immagine di “capitano” e al tempo stesso di “uomo comune”, normalizzando attraverso le pratiche comunicative social la propria eccezionalità di uomo politico. Ma anche lui, come Renzi, nel momento di massimo consenso elettorale (elezioni europee 2019) e sondaggistico, ha creduto di poter disporre delle istituzioni pro domo sua, piegando le procedure democratiche in esse garantite alla ricerca di consenso e potere.

Le somiglianze nelle vicende dei due leader, più che coincidenze sembrano elementi di un trend che ormai condiziona l’ascesa e il consumo dei leader contemporanei, i quali come i brand, affidano il proprio successo alle tendenze emotive e alle percezioni effimere dei prosiumer. La crisi che oggi vive Salvini – che per ora è solo crisi di immagine e di percezione poi si vedrà – è simile a quella vissuta da Renzi all’indomani del Referendum costituzionale. Entrambe dimostrano che l’efficacia della comunicazione, per quanto costruita e condotta in modo magistrale, può rapidamente infrangersi su due realtà socio-comunicative: il legame tra il politico e suoi sostenitori basato su emozioni e percezioni e quindi intrinsecamente effimero, non è la base adeguata per costruire progetti politici e di governo; la comunicazione social permette una rapida costruzione di popolarità, che non solo non si tramuta automaticamente in voti, ma è anche soggetta a improvvise cadute proprio per la volatilità empatica su cui si fonda.

Ci siamo preoccupati per il presunto ventennio renziano, interrotto rovinosamente sul mortale combinato disposto di egocentrismo leaderistico e incoerenza procedurale; abbiamo temuto il ventennio salviniano la cui continuazione è oggi sospesa a seguito dell’incapacità dell’uomo di incarnare con fatti politici il “Capitano” protagonista della sua narrazione. Il boy-scout ha vinto sul leader progressista e illuminato, l’uomo medio ha prevalso sul leader forte e determinato. La reale identità dei due uomini ha prevalso sull’immagine che hanno voluto dare di sé costruendo percezioni attraverso la comunicazione.

In definita, oltre a poter dire che ormai i leader italiani non si consumano in un periodo lungo identificato nel ventennio, le vicende politiche di questa estate –  ultime di una serie complessa verificatesi negli ultimi anni – portano a ritenere che le strategie e le regole di costruzione dei leader contemporanei non sono adeguate a sostenere le prove imposte dalla realtà di governo e dalla complessità delle dinamiche sociali e relazionali, i leader finiscono rapidamente e inesorabilmente vittime degli stessi effimeri strumenti che sfruttano.

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