Partiti e politici
La “non inchiesta” sulla giunta di Pistoia, raccontata dall’inizio
Il triangolo politica-magistratura-informazione in Italia ha dei risvolti patologici che sono un sintomo molto preoccupante sullo stato di salute della democrazia. Non è una tesi nuovissima e da queste parti ce ne siamo occupati spesso. In questi primi giorni d’agosto, però, si è aggiunto un capitolo che questi sintomi li rappresenta tutti, tutti insieme. Un caso esemplare, da studiare per capire come funzionano certe cose.
E’ successo a Pistoia, una di quelle città (la mia, anche se non ci vivo più da oltre un decennio) che molti italiani faticano anche a collocare sulla cartina geografica. Eppure, come spesso succede, è nella provincia italiana, che capitano quelle storie che i giornali metropoli-centrici snobbano, ma che vale la pena raccontare per capire un po’ meglio i tanti vizi e le tante virtù del nostro paese.
A Pistoia, dal 2012, c’è un sindaco del Pd, che si chiama Samuele Bertinelli. Con Matteo Renzi condivide l’essere toscano, la tessera di partito, l’anno di nascita e basta. Per il resto sono agli antipodi, caratterialmente, ontologicamente e, per certi versi, anche politicamente. I turborenziani pistoiesi, largamente rappresentati in Parlamento e in Regione, lo odiano cordialmente perché allo storytelling preferisce i filosofi tedeschi, ai social network (che quasi non usa) interminabili e soporifere assemblee pubbliche. E vorrebbero fargli le scarpe in vista delle elezioni del 2017.
Lui resiste un po’ arroccato, forte di un consenso popolare fatto di scelte amministrative coraggiose e l’ostentazione di un etica un po’ retrò. Nel 2012 vinse al primo turno. Fra un anno chissà cosa succederà.Succede che Bertinelli e la sua giunta fanno un concorso per assumere dei dirigenti. Qualcuno, fra gli sconfitti, si sente danneggiato e fa un esposto ai carabinieri. I carabinieri, visto che in Italia purtroppo o per fortuna (ma questo sarebbe tutto un altro – interessante – dibattito) c’è l’obbligatorietà dell’azione penale, informano la procura e cominciano a indagare per capire se in quell’esposto c’è solo la frustrazione di qualcuno che ha perso un concorso o se in quella selezione ci sono stati veramente degli illeciti.
Fin qui, insomma, tutto normale.
Fino a che un giornale locale, La Nazione, esce con la notizia che il sindaco e la sua giunta sono sotto inchiesta per la faccenda. Notizia che non esce dai cronisti che tutti i giorni presidiano con il palazzo di giustizia pistoiese, ma da Firenze. Non si parla di avvisi di garanzia, ma se c’è un’indagine, se ci sono delle ipotesi di reato formulate, da qualche parte dovrebbero esserci anche degli avvisi di garanzia.
I dirigenti del Pd pistoiese producono le tradizionali e stantie dichiarazioni di massima-rispetto-per-la-magistratura-che-farà-il-suo-corso e piena-fiducia-nel-sindaco. Ma in tanti, a cominciare dal Movimento 5 Stelle, a Pistoia cominciano a pensar male.
Bertinelli convoca una conferenza stampa per dire che né lui né i suoi assessori hanno ricevuto informazioni di garanzia. E che dell’indagine, ovviamente, non erano a conoscenza visto che carabinieri e procura le stavano conducendo nel massimo riserbo, anche a tutela degli indagati, in attesa di capire se in quell’esposto c’era roba penalmente rilevante oppure no.
Per suffragare la sua posizione porta anche un comunicato del procuratore capo della Repubblica Paolo Canessa (i cultori del genere si ricorderanno di lui come pm nel processo del mostro di Firenze) che sostanzialmente conferma le sue parole.
Quell’articolo, nel quale si parla di un’indagine e si ipotizza addirittura un commissariamento del Comune, si fonda, in estrema sintesi, sulla denuncia di un cittadino, di quelle che potrebbero essere fatte da ognuno di noi, di quelle che ogni procura riceve a centinaia ogni giorno.
La notizia è stata, ovviamente, ripresa da alcuni organi di informazione nazionale, non per cercare di spiegare come sono andate le cose, ma per piegarla ad una logica di lotta politica. C’è chi si è perfino spinto a titolare il prima pagina “Sgominata la giunta Pd di Pistoia”: come se bastasse nemmeno un’indagine della magistratura, ma la denuncia di un semplice cittadino (che può essere vera e circostanziata come pure basata sul nulla) per far cadere un sindaco. Come se il tanto mitizzato cittadino in quanto tale (inteso singolarmente) avesse la possibilità di interdizione su ogni tipo di istituzione.
Quello che è stato scritto ha innescato un dibattito surreale.
Il giornalismo, insomma, non ha svolto, in questo caso il suo ruolo di fornire al lettore-cittadino un quadro complessivo della faccenda per permettergli di farsi un’idea chiara della faccenda, in modo che possa esercitare il suo diritto di scegliere da chi farsi rappresentare con consapevolezza. Si è semplicemente piegato a logiche di dialettica politica.
Lo fa sempre più spesso, per qualsiasi parte politica esso parteggi. Le storie sono tali solo se corroborano una tesi di fondo, soprattutto quando c’è la magistratura di mezzo, a volte suo malgrado, come in questo caso, a volte meno, grazie alla quale si possono ammantare di rispettabilità ed importanza anche cose che non ce l’hanno.
Inventando anche, come direbbe Luca Sofri, avvisi di garanzia che non lo erano.
Criticare il potere, la politica e la magistratura quando fanno cose che non dovrebbero è il centro del mestiere del giornalista. Farlo senza dire la verità fa scricchiolare ancora di più tutto il sistema. Che scricchiola già abbastanza da solo.
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