Partiti e politici
La natura criminale. Un confronto tra Lega e MoVimento 5 Stelle
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«La natura umana può forse modificarsi così radicalmente?»
Solo, prono su un letto di pietra il detenuto 24609, fu Jean-Valjean, si costringe alle fantasticherie della reclusione. La mente, in accordo con la voce del narratore, trasvola verso la puntura della memoria: la pagnotta sottratta per fame, i tentativi d’evasione; insomma l’iter del criminale. Un forzato plasmato da un omino cupo destinato alla mediocrità: bisognerà che divenga errabondo, che si strappi il nome dal petto come un abito avvelenato e ne generi un altro dal nulla; che si spinga la virtù nel cuore separando in fabbrica gli uomini dalle donne perché lo investa un anelito di redenzione.
Soltanto allora sarà lui, proprio lui. Cos’è, la storia della natura umana, se non storia di ciò che si abbandona, orfano, ai margini dell’esistenza? Di volta in volta trascurare sé stessi, l’identità che pur tenacemente si è tenuta stretta: più la si stringe più dolorosa sarà la separazione. Valjean, uomo del popolo tutto rude fatica con i lunghi capelli che gli cadevano nel piatto, non può che reiterare l’animo cui il suolo e l’architettura detentiva l’hanno costretto. Faticare, rubare; pure, carcerato e privo ormai del nome, non può che lasciarsi abitare da ognuna delle topiche della reclusione. Un forzato è insomma nient’altro che un forzato. Come pure l’esistenza solo a fatica si libera della pluralità dei valori cui è soggiogata – ancora di costrizioni, si tratta – difficilmente a un criminale sarà accordato di mutare in virtuoso. Gli sarà dato d’essere Santo e martire, ma virtuoso soltanto con tremenda fatica.
Al monsignore, beato lui abitato dalla beatitudine, l’onore di annientare il vizio; nella menzogna disarticola il corpo del rifiutato Valjean, gli permette di lacerare le catene che lo costringevano al nome. Così, errabondo non può più compiere il male; il riposo gli permetterà un’identità del tutto inedita; ma sì, certo, il denaro con essa. Del passato non gli resteranno che un paio di cicatrici in verità piuttosto minute. Soltanto Javert possiede occhi più buoni di quelli di Dio.
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Dall’immortalità di Hugo alla contingenza più bieca della nuova legislatura: il lettore perdoni la viltà. Desiderando restituire della natura umana l’essenza più precisa, non si può che presentare al lettore il dialogo televisivo – dialogo tra sordi! – tra lo storico dei saperi Michel Foucault e il linguista Noam Chomsky, la cui fedele trascrizione è edita in Italia da DeriveApprodi per la traduzione di Ilaria Bussoni e Marco Mazzeo. Lungi dal restituire in pochi stralci l’articolazione cui muovono entrambi i teorici, affiora la complessità della trama cui la natura è immersa.
Se l’abilità creatrice di Chomsky permette all’individuo una forza accordata al fiato dell’architettura linguistica; lo smarrimento tra i focolai del potere proposto da Foucault abbandona il neonato soggetto alla propria condizione. Con una certa inclinazione al sospetto, che neppure a Foucault sarebbe dispiaciuta buon lettore qual era di Nietzsche, si potrebbe sostenere che molte delle indagini sopra cui il suo lavoro è intessuto siano un tentativo di confliggere contro l’Umanesimo esistenzialista esibito da Jean-Paul Sartre. Eppure, come spesso accade ai figli che per dispetto si comportano al rovescio di quel che viene domandato loro ma che pure non sanno abbandonare del tutto la rettitudine, l’annientamento d’una natura umana universale pare mutuata da discettazioni sartriane. Così, Sartre, tra le pagine di L’esistenzialismo è un umanismo: «Non a caso i pensatori d’oggi parlano più volentieri della condizione dell’uomo che non della sua natura».
Se la filosofia moderna desiderava conformare la natura umana sopra una manciata di aneliti universali che tessessero la struttura dell’individualità, fossero il dubbio descartesiano o le idee semplici-e-complesse di John Locke; se Immanuel Kant nel celebre articolo La risposta alla domanda: che cos’è Illuminismo? indagava il processo d’emancipazione dell’individuo tanto da invocare una prima natura da sostituire alla seconda che nottetempo l’aveva detronizzata; l’esistenzialismo ateo paventato da Sartre si attarda sopra le condizioni di esistenza della singolarità relazionale. Similmente Foucault, il quale purtuttavia dimostra per mezzo della genealogia come le medesime condizioni siano governate da una pluralità di poteri, la quale smuove dal letargo la macchina politica. <<La natura umana può forse trasformarsi così rapidamente?>>, meditava Valjean; Sì!, gli risponderebbe Foucault non lesinando entusiasmo, poiché quella natura è in verità l’elaborato di una dialettica.
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La natura che i giustizialisti propongono è una natura tutt’affatto immutabile. Il criminale è costretto a specchiarsi dentro il proprio crimine: raramente accade che qualcuno al narcisismo ci sia costretto. Nello specchio d’acqua del crimine, gli si riconosce medesimo viso; speculare certo, ma insomma, bisogna sbrigarsi: la società elemosina difesa. Quando è stata operata tale sostituzione? È in verità ciò che Foucault annota tra le pagine del corso al Collège de France durante l’anno accademico 1973-1974 Il potere psichiatrico, la sostituzione di un doppio al soggetto.
Un confronto ai programmi elettorali sulla giustizia dei due partiti che, complice anche la legge elettorale, possono vantare la maggioranza dei seggi. Il Movimento 5 Stelle, alla voce Giustizia muove senza dubbio dalla «rapidità» cui si accennava. In accordo con un certo lavorismo liberale per mezzo di cui il lavoro è insieme norma, ambizione e cilicio, la proposta caldeggia il potenziamento della condanna ai lavori di pubblica utilità, di solito «non […] adeguate a quanto commesso da chi ha sbagliato»: bisogna che il criminale risarcisca la comunità lacerata dal delitto forzato alla cura. Il delitto di breve entità è nient’altro che una sottrazione economica alla vittima e insieme alla comunità civile: bisogna espiare l’appropriazione arbitraria del bene sottratto per mezzo del lavoro. Similmente il «divieto di reformatio in peius», per cui il giudice non possiede facoltà di riformare la condanna in senso peggiorativo. Insomma, l’imputato è un condannato progettuale, bisogna già osservarlo con sospetto.
Alla voce Trattamento Sanitario Obbligatorio, invece, Lega, primo partito della coalizione di Destra, propone il «trattamento farmacologico di blocco androgenico». Accecato dalla nebbia della psicopatologia, la quale investendo il soggetto lo sottrae alle proprie facoltà, bisogna che altri lo tenga in cura, di fatto sollevandolo da qualsivoglia rivendicazione identitaria: è ormai folle, bisogna che lo si renda innocuo, non agisce che in una coazione verso il male. Bisogna intervenire con celerità sul corpo del soggetto perché non possa più nuocere, osservarlo con perizia, rovesciarlo a destra e manca analizzando perimetro per perimetro persino della profondità dell’animo; bisogna perforargli la carne, guastargli lo stomaco perché non più lo assalga il genio da cui è catturato. La certezza della pena si compie dunque nell’agire particolare, nel certosino lavoro di annientamento della singolarità; annientamento biologico dell’anelito altrimenti ineluttabile.
Ci si nasce, insomma, violentatori, così come pure per i furti l’inclinazione pare genetica. Se vale una produzione della devianza quale lacerazione perturbante della struttura sociale è soprattutto per il suo insidiarsi dentro il corpo delle singolarità, affiorargli nell’animo mimetizzandoli del tutto con essa. Il deviato non è che un deviato, ancora. Così, pure, Lega propone l’inasprimento del reato di immigrazione clandestina, «deterrente anche psicologico» il quale terrorizzerebbe il richiedente asilo sin dentro le profondità dell’animo. Proposta la devianza, progettato il morbo, non resta che esibirne la cura: il lavoro.
Misurare la colpa; distribuire la fatica; annientare l’organismo ammorbato; intervenire non sul crimine ma sopra le inclinazioni del criminale perché non nuoccia compiendo la propria naturale progettualità. Lo spettro che emerge da tali considerazioni è allora quello d’una pena eterna il cui esordio è l’imputabilità. Alla colpa si sostituisce un peccato tutt’affatto sociale di cui la natura è inevitabilmente insudiciata: come si potrebbe allora rifiutarla?
Antonio Iannone
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