Partiti e politici
La libertà di stampa spiegata a un grillino
Nel montaggio fotografico che illustra questo articolo, mostro alcune copertine de L’Espresso pubblicate negli ultimi anni. Epoche diverse, diversi sindaci di Roma. A seguito di quelle inchieste – come è normale che sia – partirono contestazioni da parte dei partiti che erano alla guida della città, accuse di faziosità e precisazioni più o meno corrette sui dati riportati, ma nessuno – neanche il Silvio Berlusconi all’apice del suo potere – pensò mai di delegittimare tout court l’intero sistema dell’informazione.
Nei paesi democratici – quelli dove la rassegna stampa non deve passare il vaglio di chi governa e i giornalisti non vengono perseguitati, imprigionati, esiliati o ammazzati – il compito del giornalismo d’inchiesta è quello di investigare portando alla luce fatti scomodi; succede spesso che da inchieste giornalistiche partano inchieste giudiziarie. È accaduto in Italia così come nel resto del mondo, perché i giornalisti, si sa, sono i cani da guardia del potere. L’esempio più citato è quello dello scandalo del Watergate, “la madre di tutti gli scoop” che portò alle dimissioni dell’allora presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon. Era il 1972 e due giovani reporter, Bob Woodward e Carl Bernstein, svelarono un sistema di intercettazioni, spionaggio e intimidazioni messo in atto da alcune figure di punta del Partito Repubblicano vicini all’allora presidente ai danni di esponenti del Partito Democratico. Ma la lista sarebbe lunghissima; limitandosi all’Italia e al recente passato, il pensiero immediato va all’inchiesta di Repubblica sullo scandalo del “RubyGate” che causò – insieme alla relativa inchiesta giudiziaria – la caduta di Silvio Berlusconi.
Indagare sul potere è uno dei fondamentali, l’abc di chi il potere lo racconta e lo spiega a un pubblico altrettanto libero di scegliere da chi farselo raccontare. C’è poi chi – partendo da un’analisi dei fatti – scrive le sue opinioni, nella consapevolezza che queste siano più o meno condivise. È il caso del sottoscritto e di tanti opinionisti che pubblicano i loro articoli su testate con linee editoriali più o meno neutre. Anche questo fa parte della libertà di stampa e della libertà d’espressione in generale. Più opinioni ci sono, più la stampa può considerarsi libera. Con buona pace di chi considera quelle opinioni “prezzolate” o frutto di qualche complotto di questo o quel gruppo editoriale contro un singolo partito.
Oggi a Roma il Movimento 5 Stelle è il potere: è giusto e normale che si indaghi sul suo operato e che si commenti la sua azione di governo. La stessa sorte toccò a tutti i predecessori di Virginia Raggi, né più e né meno. Insomma, nessuno pensò che all’epoca dell’inchiesta sulla “Parentopoli” di Alemanno, dei tanti articoli sulla panda rossa della moglie di Ignazio Marino, sugli scontrini e i viaggi in USA dell’ex sindaco o sull’inchiesta “Mondo di Mezzo” (che ha occupato le cronache nazionali per mesi e mesi) di accusare il Gruppo L’Espresso (quotato in borsa) di essere al soldo della Casaleggio Associati. E a chi – come l’attuale Sindaco di Roma – si chiede oggi dove fossero i giornalisti quando il potere era gestito da altri, consiglierei di leggere le inchieste comparse in quegli anni dalle stesse testate che ora mette alla gogna, articoli che in molti casi portano le stesse firme dei “nemici giurati” inseriti nella lista di proscrizione sul blog di Grillo. Magari scoprirà che è anche (…o soprattutto) grazie a quel lavoro di indagine e di divulgazione di quegli stessi giornalisti che oggi definisce “giornalai” che oggi il Movimento 5 Stelle governa città come Roma e Torino. E che la libertà di stampa può essere fastidiosa per chi detiene il potere, ma è una garanzia, per tutti.
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