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La Lega terrone friendly ritratta: della Calabria non importa a nessuno
Emilia e Calabria si accingono al voto. Questione di ore. Dell’Emilia sappiamo praticamente tutto. Che la Borgonzoni è, eufemisticamente, inesperta. Che la sua proposta politica oscilla tra il già attuato da chi l’ha preceduta e l’inattuabile tendente al vago. Che posta foto di Ferrara sostenendo di essere a Bologna. Che la sua campagna elettorale è stata completamente fagocitata dal protagonismo salviniano: citofonate a presunti spacciatori (causa di incidenti diplomatici con la Tunisia), scioperi della fame (considerando il portfolio della propaganda dell’ex ministro alcuni maligni pensano a una prescrizione del dietologo) e solita tiritera su Bibbiano.
Un protagonismo talmente efficace da far credere ad alcuni emiliani intervistati, e ignari di chi fosse la Borgonzoni, di dover votare a stretto giro, con onore e piacere, per Salvini in persona. Un’illusione percettiva cercata con forza dalle solerti menti della “Bestia”.
Ciò detto, poco altro da aggiungere e poche le possibili variazioni sul tema. L’Emilia, stando ai dati, viaggia a gonfie vele per sanità, occupazione, assistenza, servizi, produttività, ecc. Un’eccellenza. E la lunga lavorazione mediatica di cui è stata oggetto in questi mesi è dipesa senz’altro dalla sua mole demografica, dal suo peso economico e, soprattutto, dalle possibili conseguenze sugli equilibri di governo, facilmente alterabili da un’eventuale sconfitta del PD nella propria roccaforte storica. Tasso di notiziabilità elevatissimo. Le gare podistiche mentaniane, al momento, non sembrano in discussione. Ottimo. Ma la Calabria?
Qualcuno, per caso, si è accorto, al di fuori dei calabresi, che domenica si voterà anche in Calabria?
La nostra “sensazione”, come già scrivemmo in un articolo datato 4 dicembre 2019, è che la competizione elettorale nella regione dell’estremo Sud (di quasi due milioni di abitanti) sia stata del tutto dimenticata dai media. I quali non si sono limitati, banalmente, a un minutaggio impari. Come sarebbe stato anche accettabile considerata la maggiore levatura strategico-simbolica delle sorti emiliane.
Essi, per evitare qualunque distrazione dall’evento di punta, hanno predisposto un vero e proprio allontanamento dal dibattito pubblico nazionale delle vicende calabre. Guai a perturbare l’hype! Tanto, per dirla con Giorgetti, “della Calabria non importa a nessuno”.
Sappiatelo. Lo ha detto. Verificate. Peraltro, senza incontrare alcun segnale di biasimo in chi lo intervistava: stiamo parlando della Gruber, conduttrice solitamente baldanzosa nell’incalzare i propri ospiti…
E se l’artefice del marchingegno sovranista salviniano, ossia della svolta “terrone friendly”, ha potuto permettersi un’uscita così blasé a pochi giorni dal responso delle urne, lo dobbiamo, con ogni probabilità, a unico fattore: la tacita accettazione collettiva, meridionali inclusi, del default mediatico in base al quale il Sud conta di meno. Per storia, ontologia, antropologia, telegenia? Non lo sappiamo, magari ce lo spiegherà Giorgetti. Sta di fatto che conta di meno.
Se così non fosse, alla luce del Giorgetti-pensiero, sarebbe inspiegabile il proliferare di bizzarri fenomeni quali il terrone leghista. Mostruosa creatura di recente conio. “Mostruosa”, intendiamoci, secondo etimologia: da monstrum; “prodigio” per i latini.
Eppure, di fianco a quello che potremmo definire “il migliore degli elettorati possibili per la Lega” (la demoscopia è inclemente nello statuire un legame causale tra livello di istruzione e sostegno al citofonatore reclamante “pieni poteri”), comincia a srotolarsi, proprio nel bistrattato Sud e proprio per reazione istintiva al mostruoso terrone leghista (colui che, semplificando, a detta del suo inventore Giorgetti, non conta una fava), un’insofferenza sempre più strutturata, più costante, rispetto al default mediatico di cui sopra. Che, ovviamente, non è solo un default mediatico.
Per farla breve, il classico piagnisteo terronico, tanto caro a una certa sensibilità terronica, inizia ad articolarsi, a diffondersi e a farsi rivendicativo non solo occasionalmente.
Perché, d’altronde, quando sei calabrese e, pur pagando le tasse come un emiliano, sei costretto a emigrare, magari in Emilia (arricchendola), per studiare, lavorare, curarti, eccetera, la tua rete stradale – per non parlare di quella ferroviaria – è grottesca e lo stato non investe un euro nel tuo territorio natio, forse, nel sentirti dire, impunemente, che ciò che succede dalle tue parti non ha alcun rilievo, un po’ di fastidio lo provi. E, forse, inizi a chiederti perché, da calabrese, dovrebbe interessarti di più il destino politico emiliano di quello della Calabria.
In seconda battuta, sempre da calabrese un po’ stupito dall’irrilevanza informazionale cui sei stato condannato, inizi a riflettere sull’ordinaria follia mediaticamente defilata che ti circonda. Inizi a riflettere, ad esempio, sul sistema di potere delle cosche, capillari nel controllo delle proprie zone d’influenza – quasi inaccessibili a un’imprenditoria sana – e spregiudicate nel lavare i propri soldi nella Borsa di Milano in virtù di un rapporto osmotico, ampiamente certificato dalle fatiche giudiziarie, con la borghesia degli affari. Risultato: inibizione di opportunità e impoverimento al Sud; spostamento di capitali al Nord.
In terza battuta, dopo il definitivo salto di qualità, da calabrese alle prese con un impulso erotico nei riguardi del piagnisteo terronico strutturato e stanchino del default mediatico, forse, potresti pensare che le soluzioni politiche ai tuoi problemi reali meriterebbero maggiore risonanza, almeno in periodo elettorale, considerando che la tua terra si sta pian pianino messicanizzando. Forse, un accenno all’emergenza occupazionale che vivi quotidianamente potrebbe sembrarti più appropriato del refrain “quant’è figa l’Emilia – Borgonzoni: la candidata metafisica”.
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