Partiti e politici
La general election vista dai renziani
Sono tempi difficili per chi, democratico non nativo, voglia commentare l’attualità politica in modo ragionato senza sovrapporre completamente la sfera politica propriamente detta a quella della comunicazione politica, rifiutando cioè il modello per cui gran parte, se non la totalità dell’azione politica si esaurisce nel campaigning e nello storytelling. Difficile se non altro dialogare con i renziani idealtipici, difficilissimo se si tratta di commentare le elezioni del mondo anglofono.
Spesso dotato di conoscenze assai schematiche rispetto alla storia della Sinistra italiana, ma informatissimo sui collegi elettorali in USA e UK, insofferente alle «vecchie» categorie del pensiero politico ma grande fan delle strategie del pessimo Alastair Campbell – modello dichiarato del dominus della comunicazione renziana, Filippo sensi, il renziano dogmatico si è già pronunciato con la consueta schiettezza sui risultati del voto nel Regno Unito.
In sintesi – nota bene: la sintesi la fanno già i renzianer in partenza, una sintesi ulteriore ridurrebbe probabilmente il messaggio ad una lallazione – Miliband sarebbe stato «scialbo», poco convincente, privo del carisma di Cameron (!). E, soprattutto, ahilui, avrebbe virato troppo a sinistra, si sarebbe mostrato legato ai modelli dell’Old Labour, della vecchia sinistra. Forte delle certezze acquisite a casa, il renzianer proietta quindi la situazione italiana su quella britannica, al punto che gli diventa difficile nascondere la propria soddisfazione.
I paragoni con Bersani e con la “ditta” ovviamente si sprecano, e non importa quanto inconsistenti e ridicoli possano essere. In un contesto ormai polarizzato tra i corifei della nuova Camelot renziana e la deprimente armata Brancaleone di Vendola, Landini, Cofferati e – da meno di due giorni, Civati – i primi risulterebbero comunque vincenti, anche se un giorno si svegliassero raccontando che la luna è fatta di burro.
Non occorre essere renziani della primissima ora per adottare questo tipo di discorso, lo può usare anche chi sia saltato sul carro all’ultimo momento utile. A titolo di esempio potremmo citare Andrea Romano, che pure non dovrebbe possedere la freschezza mentale del renziano “puro”, con tutta la sua formazione storica e politologica: «Effettivamente Ed avrebbe potuto spostarsi più a sinistra: tipo verso i trozkisti»
Insomma, pare che il paese in cui non si riesce ad abbassare le tariffe dei notai e quello in cui i notai neppure esistono abbiano bisogno della stessa identica ricetta riformista, e pare che le loro rispettive sinistre – tutti estremisti, pure i membri della Fabian Society – soffrano degli stessi mali. La sintesi del renzianer si ferma qui, i dettagli eccedono dai contorni dello schemino e non si considerano.
Non importa che il Labour abbia patito dello straordinario successo dello Scottish National Party, che al pari di gran parte dei partiti autonomisti europei – e a differenza dell’eccezione leghista – è di fatto un partito socialdemocratico. Non importa che Cameron abbia beneficiato di un (dubbio) successo rispetto alla lotta alla disoccupazione, dell’aggravarsi del (preoccupante) sentimento antieuropeo degli Inglesi e della paura degli immigrati.
Cameron, come Renzi e Frank Underwood, è un vincente, e questo è tutto ciò che conta. Non importa che la vita dei più deboli in UK in questi cinque anni si sia fatta ancora più dura, non importa che sanità ed istruzione pubbliche siano state colpite in modi che spero (voglio sperare) non vengano mai ritenuti accettabili dal Partito Democratico. Un partito che oggi è anche il partito dei fan di Frank Underwood e degli ammiratori del carisma (!) di Cameron. Domani, si vedrà.
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