Partiti e politici
La fronda perenne
Siccome sono in fondo un individualista radicale – con lievi tendenze sociopatiche – considero l’unità a sinistra un bene preziosissimo. Mi spiego meglio: con la scomparsa della Sinistra di classe, per costruire un grande partito riformista di massa occorreva mettersi di buzzo buono e tentare di fare sintesi, di trovare quel minimo comun denominatore attorno al quale tenere insieme la polvere dei piccoli interessi reali e delle opinioni atomizzate, mai perfettamente sovrapponibili tra loro. Questo avrebbe dovuto fare il PD alla sua nascita, in un congresso davvero fondatore che non si è mai tenuto.
Mettendo assieme questo vizio originario e lo strappo che il rottamatore ha imposto al corpaccione intorpidito del centrosinistra, non sarebbe difficile comprendere e anche giustificare la prossima scissione della fronda antirenziana, annunciata finalmente da Pippo Civati, che prevede di andarsene dal partito in primavera, assieme a «meno di dieci» parlamentari. La proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso sembra essere stato l’abbandono di Cofferati, il quale a sua volta ritiene impossibile rimanere nel partito dopo il tremendo pasticcio delle primarie liguri.
Che dire? Dispiace. Dispiace perché le divisioni fanno sempre danni, almeno dal 21 gennaio del 1921 – per restare entro l’arco temporale di un secolo. Dispiace, ma non poteva andare altrimenti, e non per i motivi enunciati pubblicamente. Chi abbia un minimo di onestà intellettuale, riconoscerà come in questi ultimi giorni non siano intervenuti fatti nuovi. Non sono nuove le alleanze tattiche col centrodestra, né tantomeno i brogli alle primarie. E nemmeno la sempre più nebulosa identità della Vera Sinistra sembra minacciata più di quanto non lo sia stata negli ultimi vent’anni. E’ che serve dare qualche sostanza ideale alle proprie azioni, tutte basate sul politicismo più schietto.
Detto brutalmente: quando si forma un nuovo gruppo dirigente, qualcuno resta fuori, perché le poltrone non sono infinite. Resta fuori chi non salta sul carro del vincitore, perché non ha voluto saltare, o perché si è troppo attardato credendo che il carro non partisse. Le motivazioni intime sono comunque inconoscibili e non sono mai politicamente rilevanti. Comunque sia, una volta rimasto a piedi, diventi naturalmente fronda. Non hai alternative, la tua visibilità e la tua stessa esistenza politica sono legate al tuo essere qualcosa. Tautologicamente: non essendo maggioranza, sei minoranza, ed essendo minoranza sei costretto ad essere fronda.
Solo i singoli e sconosciuti militanti come il sottoscritto possono permettersi di stare in mezzo al guado, bastonando un giorno Renzi e l’altro Civati, convinti che dallo scorso febbraio le scelte di Renzi siano state quasi tutte criticabili, ma anche che la pellaccia del Paese sia infinitamente più importante del posizionamento politico del proprio partito. Chi ricopra invece un ruolo elettivo, chi rappresenti qualcun altro al di fuori di sé stesso, questo non se lo può permettere. Ecco il dramma di Civati, Fassina, Cofferati e gli altri. Non li invidio.
A loro toccherà sperimentare nuovamente le gioie del settarismo, trovandosi al (debole) traino di Tsipras o di Vendola, in cerca della compagnia di qualche c.d. “grillino responsabile” o dell’ideologo noeuro di turno, eventualmente (spero di no) rendendosi anche responsabili di una vittoria della destra, come già Bertinotti tre lustri fa. A noi, d’altro canto, resterà la conferma che il “grande edificio della Sinistra unitaria” che sognavamo è soltanto uno di quei palazzi abusivi che crollano non appena arrivano al terzo piano. Forse ci meritiamo di vivere in una tendopoli.
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