Partiti e politici
La forza di Renzi è mettere (ancora) paura. A tutti, meno che agli italiani
C’è un amico a cui ricorro quando il tono della politica riesce a sopraffare ogni logica, a smutandare qualunque paradosso, a trascinare la logica e il buon senso in un pozzo avvelenato e senza fondo. Avevo appena assistito alla conferenza stampa di Matteo Renzi, il quale, pochi minuti prima che l’Aula decidesse sui tempi della crisi, mostrando, numeri alla mano, la nuova, possibile maggioranza, aveva illustrato la sua visione, diciamo così, “conservativa”. Mi chiedevo, con lo scorrere delle domande, quale fosse il senso di queste conferenze stampa, visto che i giornalisti ormai rinunciano a fare le domande. Cioè, in realtà le fanno, ma dopo un minuto non ti ricordi più nè la domanda nè tanto meno la risposta. Ne ho fatte millanta anch’io e succedeva lo stesso. Esattamente il contrario dell’America, dove l’incontro con il politico, a maggior ragione se di Potere, è uno dei momenti fondamentali per il mestiere del giornalista e dunque per la democrazia stessa. Lasciamo pur stare Trump, che un esempio di sin troppo facile evidenza, ma tutti i presidenti sono andati più o meno nella merda con la libera stampa. Dicevo di Renzi e delle domande non domande. Solo una cronista è stata chiara e diretta, ne faccio il nome per riconoscerle almeno il merito: Francesca Schianchi. Ha chiesto semplicemente: “Senatore, ma se alla fine il Partito Democratico dovesse scegliere di andare al voto, lei che farà, se ne va, porta via i suoi parlamentari?” Quello si è arrampicato, ha sparato quattro cazzate ma in sostanza non ha risposto. E qui arriva il mio amico. Il quale, sul rapporto surreale che lega la libera stampa a un Matteo Renzi che non ha più cariche di prestigio, mi ha illuminato: «C’è una sudditanza per gli uomini che crediamo forti».
È così. I giornalisti temono ancora Matteo Renzi, ne temono la spavalderia, quel tratto risolutivo. Fatevi dire da qualche cronista autorevole il tono dei messaggi che il senatore spedisce quando un pezzo non gli garba. È anche il suo bello, per carità, rispetto ai pesci lessi che circolano. Ma è un modo soprattutto per sentirsi vivo. E per essere percepito dagli altri come qualcuno che può ancora romperti il muso. È quasi una questione “fisica” tra lui e il resto del mondo, come se il corpo del leader continuasse a sopravvivere al potere che nel tempo se n’è andato. E grazie all’intuizione di questo amico saggio, ho capito che la questione non si limita ai giornalisti: anche i politici lo “soffrono”, lo temono, ne hanno paura. Principalmente quelli del suo stesso partito. Guardate cosa è successo con l’ultima intervista, ha messo in piedi un processo politico che forse porterà a un nuovo governo. Zingaretti, che gli risposto picche il giorno dopo (e senza citarlo, piccolo sfregio che, più in grande, portò Veltroni a schiantarsi dopo non aver mai nominato Berlusconi per tutta la campagna elettorale), probabilmente dovrà bere l’amaro calice.
C’è qualcuno, però, a cui Renzi non mette paura, che non soffre di sudditanza, e da cui viene valutato probabilmente per quello che è. Questo animale strano, per Renzi probabilmente stranissimo, è il cittadino italiano. Che lo ha trattato benissimo e malissimo, e poi malissimo e malissimo ancora. Al quale non interessa nulla dei suoi muscoli, della sua faccia strafottente, anzi più quello strafotte più il cittadino italiano s’incazza. E non lo vota. Al punto che quando ne ha fatto il pieno, non lo vuole più vedere neanche in cartolina. Come suggeriscono alcuni sondaggi di questo tempo. Volendo, ci si può anche interrogare sui motivi che determinano questa enorme differenza di scenario, una distonia di grande suggestione: padrone in casa propria – il cortile della politica – ma estraneo in casa d’altri, i cittadini elettori. E una risposta forse c’è e per arrivare a un punto di chiarezza si può usare proprio una parola magica del renzismo: disintermediazione. I cittadini sgravano la politica di tutti gli orpelli, di tutte le sovrastrutture possibili, ritrovandosi in casa alla fine di una giornata pesante di lavoro, pensano di arrivare al nocciolo delle questioni senza troppe pippe mentali. Con le parole del buon senso, con concetti che si rifanno a un mondo dove la parola data è quella, dove certo esiste anche la bugia, ma quando ti sgamano paghi dazio. E dove magari la visione di un talk ti mette talmente di cattivo umore, che il capofamiglia, rivolgendosi alla sua cara mogliettina, rievoca quel titolo di Cuore rimasto scolpito nella pietra: «Hanno la faccia come il culo».
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