Partiti e politici
La fortuna della democrazia è avere Renzi che è un destro civile
In un altro tempo, una giornata come quella di ieri non sarebbe finita con (sostanzialmente) zero incidenti. In un altro tempo, la questura si sarebbe fatta una crassa risata al solo immaginare un corteo di Casa Pound e, a uno sputo, il presidio dei centri sociali. Per dire che la nostra democrazia dev’essere piuttosto forte, se una simile scenografia non ha preso una piega cattiva. Per dire, anche, che la rappresentazione attualmente in voga (e di moda) del nostro momento sociale è sostanzialmente un’invenzione a scopo elettorale. Vero, episodi sparsi accadono e come potrebbe essere diversamente. Ma parallelamente, in questi anni non è cresciuto nulla, veramente nulla, di evidentemente antidemocratico, Di veramente pericoloso. Dove davvero soffia, pesantissimo, il vento di un razzismo concreto, eretto a (eventuale) sistema di governo.
Se l’Italia è, in maniera evidente, uno dei pochissimi paesi dove un sentimento così forte, anti-sistema, non è cresciuto, dove la malapianta non ha attecchito in termini di consenso vasto, ma rimane all’interno del circuito democratico, la ragione è da intercettare anche in un paradosso tutto politico e che riguarda la sinistra italiana. Una sinistra che è rimasta nominalmente in un mano a un uomo che in realtà non è un uomo di sinistra, ma piuttosto un destro civile, molto civile. Dunque, in radice, molto democratico. In un concetto, è Matteo Renzi una delle vere ragioni per cui una destra orrenda non esplode e diventa uno dei fenomeni europei a cui abbiamo assistito in questi anni, perché è esattamente in lui che la destra più perbene si riflette, che contiene eventuali istinti beceri, in cui ha un’accoglienza benevola.
Non avere una storia di sinistra, “sentire” poco o nulla quella storia, quelle storie, che hanno un valore fondativo soprattutto rispetto alla contrapposizione con la destra, non sentire che la simbologia dei linguaggi, che oggi vengono esposti con sin troppa disinvoltura, fa parte del patrimonio costitutivo di una certa sinistra che aveva un grande popolo, tutto questo ha portato Matteo Renzi a non esasperare mai le differenze. Quanto meno ad affievolirle, mai pigiando il suo acceleratore politico su quei temi divisivi della Storia. Non si dice, qui, che il segretario del Partito Democratico non abbia a cuore il concetto di antifascismo, ma egli è un giovane quarantatreenne di un tempo moderno che non subisce la fascinazione di un retaggio. È forse una colpa? In questo momento – è paradossale sottolinearlo – è piuttosto una risorsa, la destra non ha (più) il suo nemico storico, non ha più soprattutto una storia da abbattere, i valori “maledetti” antifascisti e antirazzisti che una certa sinistra continua a maneggiare con la confidenza sentimentale a cui ha diritto.
Si parla molto, in questi ultimi giorni che ci dividono dalla domenica elettorale, di un possibile voto utile. Qualcosa che vada in una “certa” direzione, in una doppia direzione si direbbe. Una, sarebbe la possibile governabilità, votare, cioè, ciò che sembra essere più vicino alla stabilità politica. In soldoni, se la destra è la più vicina a governare, allora votare la destra anche se non ti convince appieno. La seconda, è votare Partito Democratico perché esisterebbe un’emergenza democratica e il Pd è certamente il più strutturato per affrontarla. Come è facile dimostrare, la tesi di un’emergenza democratica è decisamente forzata, tenuta in piedi da chi ha interesse a indirizzare il consenso verso approdi ben identificati. Nè fenomeni isolati parrebbero giustificare un allarme sociale di portata sociale consistente. Se non prenderà voti sufficienti a garantirsi un successo elettorale, Matteo Renzi potrà almeno ascriversi il merito d’aver tenuto fuori dalla porta le sollecitazioni più estreme. Nessuno glielo riconoscerà, ovviamente. Ma questa è un’altra storia.
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