Partiti e politici

La fine dell’estate fu veloce, l’inizio della campagna elettorale anche (ahinoi)

27 Agosto 2023

Gli acquazzoni di questi giorni, speriamo non troppo violenti, si porteranno via l’estate più calda di sempre. Il problema epocale del cambiamento climatico e delle sue conseguenze sociali ed economiche, purtroppo, resterà invece ad affliggerci, così come restano sempre sul tavolo, incapaci di mimetizzarsi sotto il più spesso dei tappeti, i guai strutturali della società e dell’economia italiana. I mali antichi di un paese che non cresce, e i mali forse più recenti di una società che – non certo da sola tra quelle dell’occidente democratico – mostra sempre più spesso e con sempre meno vergogna le proprie pulsioni barbare, retrograde, da un lato, e una perdurante incapacità delle élite contemporanee e urbane di comprenderne il sostrato sociale, di combatterlo con la pazienza e la forza di chi vede un tempo più lungo delle prossime elezioni, o del prossimo week end fuori porta, dall’altro. L’estate che finisce, gli ultimi giorni di questo agosto in particolare, e l’autunno che inizia, ci possono aiutare forse a riflettere ancora una volta su queste tensioni: su problemi nazionali e globali di lungo periodo, e su risposte asfittiche, tutte comprese nell’esigenza di uscire bene (si fa per dire) nella prossima edizione del telegiornale.

Finisce dunque l’agosto del Generale Vannacci e del suo “mondo al contrario”, del suo libro sulla normalità della maggioranza statistica bianca e cis-gender. E, di contro, sull’anormalità di tutti gli altri/e. Un libercolo sconosciuto, dato alle stampe in maniera semiclandestina da un alto gradutato dalla posizione politiche indigeribili e per questo parcheggiato fuori dalle stanze dei bottoni, è diventato un best-seller dopo essere stato scoperto e ampiamente raccontato dalla pubblicistica “di sinistra”. Varrebbe la pena di riflettere su questo ultimo elemento, cioè su quanto la necessità di raccontare enfatizzando il nemico, magari creandolo quasi dal nulla, gli dia dignità, rilevanza e peso. Direte: ma è un Generale delle forza armate italiane! È vero, e tuttavia era un General Nessuno, fino a prima che qualcuno ne denunciasse le idee. Idee intollerabili non in sè – credo che la libertà di odiare esista, anche se l’odio a me ripugna – ma intollerabili per sè, cioè in questo caso per chi rappresenta il monopolio statale dell’uso della forza, come appunto capita a un generale delle Forze Armate. Ma ci sono altri aspetti ancora più rilevanti della vicenda. Il primo, il suo libro è diventato un manifesto politico che le forza di estrema destra si litigano, e che, soprattutto, ha un mercato. Lo comprano in tanti, che in quelle idee, in quel posizionamento, vedono legittimati se stessi e il proprio sentire. Il proprio pensare, ed essere nel mondo. È significativo che sia comunque diventato un piccolo fenomeno commerciale, che ci sia chi spende dei soldi per farsi arrivare a casa  un manifesto “contro il pensiero unico”. Che nell’atto dell’acquisto ci sia un processo di identificazione che si realizza cliccando su “metti nel carrello”. E poi c’è un altro elemento, anche più importante. Sempre di più, il discorso delle comunità politiche si cristallizza attorno ai giudizi che quelle comunità danno del mondo, e su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato essere e fare. Il discrimine tra “noi” e “loro” – non importa chi quale sia la prima persona plurale che ciascuno sente comprensiva e rappresentativa della sua prima singolare – è ormai tutto giocato nel campo di quel che è giusto e sbagliato fare e pensare sui comportamenti privati propri e altrui, sui corpi, sui movimenti, sui diritti di cittadinanza. Attorno ai diritti economici e sociali, attorno ai modi e ai tempi che consentiranno o meno di trovare le risorse che servono, insomma attorno alle questioni che fino a non moltissimi anni fa definivano il confine tra destra e sinistra nelle democrazie occidentali, c’è ogni tanto qualche lampo, ma certo non ferve il dibattito.

A tal proposito, le cronache politiche di questi giorni ci dicono, a righe alterne, che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni vuole dedicare integralmente le risorse della prossima manovra economica al lavoro e/o alla “famiglia”. Meloni, che è donna politica accorta, sa che alla fine è dentro a questi due contenitori che si gioca la partita del consenso, e anche che si annidano lì le faglie di debolezza della sua navigazione. Ha capito che i soldi saranno pochi, come ha spiegato a chiare lettere il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti al meeting di Comunione e Liberazione di Rimini, quando ha detto che con la manovra “tutto non si potrà fare”. Solo che sotto Meloni, visto che ne è il vice, ma sopra Giorgetti, visto che è il suo capo politico, c’è Salvini, che se non tutto, sogna almeno di fare molto. I soldi li deve trovare qualcun altro, ad esempio Giorgetti. Soldi per le pensioni a quota 41, perchè il suo blocco elettorale sta tutto attorno ai 60 anni, e al nord in particolare ha iniziato a lavorare al più tardi ai 18 anni. Soldi per il Ponte sullo Stretto, perchè “la prima pietra va messa nel 2024”, e tra una cosa e l’altra Matteo è anche ministro delle Infrastrutture. Soldi per gruppi e gruppuscoli vari ed eventuali che vanno sostenuti e foraggiati, in una competizione tutta interna alla destra che ha un solo obiettivo: la campagna elettorale per le prossime elezioni europee, edizione primavera estate 2024, che è il vero obiettivo “strategico” del ceto politico italiano di qualunque colore, al momento. Salvini punta da qui ad allora a erodere più che può consenso a Fratelli d’Italia, un po’ puntando su pensionati e gruppi identificati, un po’ rendendo onore ai Vannaci d’Italia. Tajani deve cercare una via per la sopravvivenza di Forza Italia senza Berlusconi. È comprensibile, in questo quadro, che la presidente del Consiglio, dal punto di vista delle politiche economiche, e coi pochi soldi che ci saranno anche a causa di una crescita che starà al di sotto dell’1% di Pil sognato fino a qualche settimana fa, punti al corpo grosso dell’elettorato, al “centro” sociale e retorico di ogni discorso. “Lavoro” e “famiglia”, appunto. Un successo alle europee sarebbe infatti una tappa intermedia strategica fondamentale per il progetto politico di lungo periodo del partito della premier e della cerchia stretta di fedelissimi e famigli: occupare tutto lo spazio possibile della società conservatrice italiana, diventare il perno di riferimento della grande provincia polverizzata che è quantitavimante la spina dorsale del nostro paese.

Come si vede facilmente, l’obiettivo principale dei protagonisti della scena governativa è rivolto ai prossimi mesi, alle prossime elezioni europee, rispetto alle quali conta molto di più il sistema elettorale esistente – il proporzionale puro, che consente di pesarsi anche e sopratattuto rispetto agli alleati – e molto meno alla soluzioni dei nodi strategici che riguardano la crescita del nostro paese, l’enorme problema demografico che attanaglia la sopravvivenza stessa di uno stato nazione (non basteranno quattro soldi ai pochi che fanno figli) e il rapporto con il fenomeno epocale delle migrazioni, solo per citare alcune questioni centrali per l’oggi e il domani. Del resto, anche la voce delle opposizioni, su questi temi, si sente poco, forse perchè sono difficili di da spiegare, o anche solo da capire, prima di spiegarli. Resta che il timido tentativo del Pd di fare breccia con il tema del salario minimo ha sì funzionato come grimaldello mediatico per tirare in mezzo alla sala da ballo una recalcitrante Giorgia, ma non sembra destinato a lasciare il segno in una società che percepisce tutto come “dibattito teorico”, abituata com’è a misurare le politiche solo in termini di “quanti soldi in più ho in tasca IO a fine mese”. Ed è insomma su questi binari che sembrano viaggiare i prossimi mesi della politica italiana. Assisteremo a nuove schermaglie attorno a un’ennesima ipotesi di riforma costituzionale, con l’elezione diretta del premier che per Meloni è un ripiego, per Renzi e i suoi un obiettivo, e per gli altri lo vedremo. L’appuntamento è per la primavera, quando le elezioni per il parlamento europeo diventeranno la solita occasione per misurare i centrimetri quadrati di dominio in patria. Avanti così, per inerzia, con gli occhi sempre fissi nello specchietto retrovisore. Sperando che non arrivi nessuno in contromano, o di non finirci noi, a forza di dimenticarci che i problemi e le opportunità stanno tutti davanti.

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