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Podemos venne finanziato da Chavez già nel 2007

7 Aprile 2016

Con uno scoop degno d’altri tempi il giornale El Confidencial ha appena pubblicato le prove del finanziamento bolivariano a Podemos: 7 milioni di dollari provenienti dalle casse maneggiate da Hugo Chávez per promuovere politiche più vicine agli “interessi della sinistra anticapitalista internazionale”. Furono consegnati al CESP, il centro di studi politici e sociali che rappresentò, tra il 2007 e il 2012, l’incubatore della nuova forza politica spagnola.

Si tratta di uno dei primi risultati tangibili della vittoria del MUD (Mesa de la Unidad Democrática) alle elezioni venezuelane dello scorso dicembre: per scovare certi documenti ci vogliono mani esperte, rotative disposte a stamparli ma, soprattutto, volontà politica. Vengono alla mente anche i viaggi dell’ex primo ministro Felipe González a Caracas, nei giorni della detenzione di Leopoldo López, il capofila dell’opposizione a Nicolás Maduro ancora recluso nel carcere di Ramo Verde. Non perché non fosse giusto viaggiare, in quell’occasione, ma per il fatto che l’ufficialità della rivelazione, nell’aria da diversi mesi in verità, arriva in un momento delicatissimo per la formazione podemista, in subbuglio per la gestione accentratrice di Pablo Iglesias e alle prese con un difficile trattativa con PSOE e Ciudadanos per la formazione del nuovo governo.

I fogli col timbro ufficiale, che recano la famosa firma “a coda di maiale” del Generale Chávez, sono stati allegati all’indagine che la polizia spagnola sta conducendo sui possibili fondi irregolari di Podemos (simili pagamenti infrangerebbero, se fosse dimostrato il travaso dalla fondazione CEPS al partito, l’articolo 7.2 della legge sui finanziamenti ai partiti) dando un facile appiglio a chi, come Ciudadanos, ha tutto l’interesse nell’ostacolarla, quella trattativa, e qui potrebbero venire alla mente molte altre cose che generalmente si tacciono.

Ormai sommersi in una campagna elettorale permanente, i segretari dei socialisti e di Podemos avevano messo in scena, mercoledì scorso, un riavvicinamento spettacolare, con tanto di passeggiata davanti al Congresso a usufrutto dei fotografi assiepati davanti ai due leoni che a Madrid rappresentano l’indomabilità della volontà popolare. Nelle ore immediatamente successive avevano indetto conferenze stampa per ripetere i loro mantra, annunciare la volontà di cedimento per arrivare a un accordo; in realtà, nel parere di molti, cercando di rafforzare i rispettivi messaggi in vista delle possibili future elezioni.

È difficile prevedere quanto le rivelazione del quotidiano El Confidencial possano influire in una così ben orchestrata mise en scene, ma quel che si può certamente affermare è che decretano il ritorno di quel dietro le quinte che il sociologo Erving Goffman indicava, nel suo saggio L’ordine dell’interazione, come il vero obbiettivo dei mezzi di comunicazione.

Constatiamo giornalmente quanto Goffman avesse ragione, dal momento che il pubblico è indotto ormai costantemente a pensare le questioni pubbliche, anche le più solenni, in termini di puro pettegolezzo, d’ironico sberleffo sul naso del potere, ma è pur vero che a tanta patinata concordia, impreziosita da brevi e inconcludenti passeggiate sotto braccio, erano rimasti davvero in pochi a credere.

Sia che lo scoop decreti il fallimento della trattativa, sia che distrugga il mito fondativo di un Podemos nato dal movimento degl’Indignados nel 2011 (i finanziamenti arrivarono almeno quattro anni prima), nessuno si farà un’opinione matura senza conoscere prima i retroscena della questione, gli unici ai quali siamo disposti a concedere una fiducia (quasi) incondizionata.

 

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