Partiti e politici

La destra tedesca anti-Euro rischia di andare in pezzi

29 Aprile 2015

È raro che i riflettori dei media nazionali vengano puntati su attori politici tedeschi che non sono la Cancelliera cristiano-democratica Angela Merkel o al massimo i suoi meno conosciuti partner di governo, i socialdemocratici guidati da Sigmar Gabriel. Fuori dal rassicurante perimetro della Grosse Koalition rosso-nera merkeliana, i players sono però molteplici: i Verdi che governarono solamente nell’epoca d’oro di Schröder, la sinistra nostalgica dura e pura della Linke, i liberali estromessi dal Bundestag alle ultime consultazioni elettorali, la combattiva destra euroscettica di AfD, Alternativa per la Germania. È proprio nell’area in ebollizione a destra della CDU, il partito cristiano-democratico della Cancelliera, che si agitano gli spettri della disgregazione. Pungolata dall’emergere del fenomeno Pegida (le controverse marce anti-Islam inaugurate a Dresda ad inizio anno) e lacerata da conflitti interni, Alternativa rischia di afflosciarsi su sé stessa fallendo clamorosamente la sua missione. L’obiettivo di reimpostare il dibattito pubblico tedesco mettendo in discussione presunti totem quali la difesa a tutti i costi dell’euro e la messa in sicurezza dell’Eurozona rischia di essere compromesso per via di una leadership contestata e l’esplodere dei personalismi.

AfD è stata fondata ufficialmente nel febbraio 2013 come partito anti-establishment in contrapposizione ai partiti “storici” come Spd e Cdu. I suoi maggiori bersagli critici sono stati la moneta unica europea e i piani di salvataggio approntati dall’Unione a favore dei paesi indebitati, i cosiddetti PIIGS. Dopo aver mancato per un soffio l’ingresso nel Bundestag alle politiche del 2013 (il 4,7 % non è stato sufficiente a superare la soglia di sbarramento del 5), Alternativa ha recuperato slancio alle Europee del 2014, inviando a Strasburgo sette eurodeputati (corrispondenti al 7,1% dei suffragi). Le figure più autorevoli e riconosciute a capo della compagine euroscettica sono indubbiamente tre: il professore di Macroeconomia dell’Università di Amburgo Bernd Lucke (capolista alle Europee), Alexander Eberhardt Gauland (fondatore di Alternativa dopo quarant’anni di militanza nella Cdu ed ispiratore dell’ala più conservatrice) e Hans-Olaf Henkel (manager alla IBM e poi presidente della Confindustria tedesca, la BDI). Nomi che delineano un profilo simile a quello della dinamica “Fare per fermare il declino”, che sembrava destinata a fare il proprio debutto parlamentare alle politiche del 2013. Figure come il giornalista economico Oscar Giannino e gli economisti Michele Boldrin e Luigi Zingales, in tempi in cui la tecnica sembrava aver preso il sopravvento sulla politica, iniettavano nel dibattito pubblico la saldezza delle competenze contrapposta alla volatilità e alla presunta inconsistenza delle parole d’ordine politiche. Expertise ineluttabilmente destinato ad essere depotenziato, messo in crisi o persino silenziato dalle stringenti logiche del gioco politico, l’intersecarsi delle ambizioni personali, l’emergere di orientamenti contrapposti. Alternativa, indebolita da una serie di defezioni di peso e squassata dal formarsi di due ali avversarie, rischia dunque di andare a sbattere.

Già nel novembre 2014 il conservatore Die Welt definiva Alternativa un partito di “indisciplinati ed egocentrici”. A scuotere le fondamenta del relativamente giovane movimento politico fu allora la controversa decisione di Lucke ed Henkel di votare a favore delle sanzioni contro la Russia proposte al Parlamento Europeo. Gauland, forte della sua base di potere in Brandeburgo (il Land intorno a Berlino) e desideroso di attrarre i voti della sinistra nostalgica della DDR, si spese contro tale decisione presa a Bruxelles dagli esponenti del suo stesso partito. “E’ un partito di giornalisti e professori”, osservava sprezzantemente il Welt, poco avezzo alla delicata arte della costruzione di maggioranze interne. Solo il ritorno in Germania di Lucke, confinato nel dorato esilio europeo, avrebbe permesso all’economista di recuperare la presa sul movimento. Movimento che avrebbe subito pesanti contraccolpi (anche finanziari) qualora fosse venuta a mancare la garanzia di credibilità portata in dote da Henkel.

Nel frattempo continuavano le tensioni interne di una formazione, soprattutto a livello locale e nell’ambito delle organizzazioni giovanili, sempre più attratta dal buco nero della destra estrema tedesca. In marzo il liberal Die Zeit riferisce di un imminente showdown: la cosiddetta “risoluzione di Erfurt”, approvata dalla federazione di Alternativa in Turingia con un contenuto volutamente reazionario-conservatore, aveva non poco infastidito l’ala più pragmatica e liberale del partito. Emergeva per la prima volta in modo evidente l’intenzione di Lucke di tagliare alla radice il problema superando la collegialità della leadership e intestandosela definitivamente, marginalizzando Gauland e gli altri comprimari. Non si tratta solo di una questione di cariche, ma soprattutto di una decisione ineludibile sul futuro orientamento del partito: o nella direzione prospettata da Gauland e dall’ala ex tedesco-orientale di Alternativa (maggiore insistenza su temi quali Islam e immigrazione, preponderante connotazione anti-sistemica) o nell’alveo tracciato da Lucke ed Henkel (lo spettro dei valori liberali e l’ancoramento presso i ceti medio-borghesi). Decisione che verrà probabilmente presa a giugno durante il congresso di Alternativa. Congresso al quale, nonostante i tentativi di Lucke per ovviare alle ristrettezze finanziarie, solo i delegati saranno autorizzati a partecipare.

Il 23 aprile le agenzie battono l’inaspettata notizia: Hans-Olaf Henkel abbandona la propria carica in Alternativa contestando, in un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, l’influenza negativa degli “ideologi della destra”. Sentitosi chiamato in causa, Gauland affida il suo pensiero ad Handelsblatt: con i suoi tentativi di prevenire uno scivolamento a destra, Lucke sta spaccando il partito. L’economista ribatte due giorni dopo sulla Bild, il quotidiano più popolare di Germania: il partito non andrà alla deriva né verso destra né tanto meno verso l’estrema destra. Il 27 aprile lo Zeit annuncia: la leadership federale di Alternativa ha perso un altro componente. Dopo Henkel e Beatrix Diefenbach, è il turno di Patricia Casale. Qualcuno sussurra che si tratti di una ritirata tattica per via dell’emergere di irregolarità finanziarie, ma la sostanza rimane la stessa: Alternativa, nonostante le rassicurazioni di Lucke, è alla deriva. Secondo gli ultimi sondaggi avrebbe comunque una possibilità di entrare al Bundestag alle prossime elezioni, ma in gioco in questo momento non ci sono le strategie per le prossime elezioni politiche. C’è la sopravvivenza stessa del progetto.

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