Costume
La destra, la sinistra e il vocabolario
Da anni ci si ripete che destra e sinistra sono concetti superati.
In certi ambienti è diventato quasi un luogo comune, soprattutto per chi ha meno di quarant’anni. Io non ho niente contro i luoghi comuni e niente contro quelli che hanno meno di quarant’anni. Anzi sono persuaso che possa capitare, talvolta, che ci azzecchino sia gli uni che gli altri – e poi non potrei permettermi di metterla su questo piano: guarda, che fine ha fatto la mia generazione con tutto il suo esprit de finesse e la sua giovanile e anticonformistica baldanza…da incendiari a pompieri senza neppure un fremito.
Dico solo che se è vero che destra e sinistra sono superate, allora le abbiamo sorpassate a destra, in contravvenzione al codice della strada. La destra è più a destra che mai mentre a sparire dal geolocalizzatore è stata la sinistra che ora, come per incantesimo, si trova pure a destra. E’ come se il sistema di orientamento si fosse inceppato. L’indicatore non indica altro che la destra: però guai a chiamarla col suo nome.
Così giriamo in circolo come fanno i dispersi nel deserto. Facciamo chilometri e chilometri e alla fine torniamo sempre al punto di partenza.
Perfino il vocabolario dà atto di questo girare in tondo che va avanti andando indietro.
Un paio di secoli fa, quando ci si riferiva ai poveri li si chiamava “sventurati”. Poi arrivarono Babeuf, Blanqui, Marx…e i poveri divennero “gli oppressi”. Fino a qualche decennio fa. Allora, quasi improvvisamente – considerati i tempi della storia – “gli oppressi” sono spariti dal campo visivo e soprattutto dal vocabolario. Ed ecco che, come per effetto di magia circolare, sono riapparsi invece gli sventurati di prima. Solo che, per via del colpo di ginocchio progressista, che trasforma lo zoppo in diversamente abile e la bagascia in operatrice sessuale, sono diventati “i meno fortunati”; oppure, con uno di quei graziosi giri di parole che piacciono ai conduttori di talk show, “quelli che sono rimasti indietro” (l’inglese invece che è più diretto, punta al sodo e non si perde in chiacchiere, li definisce “losers” che ha per lo meno il vantaggio di mettere le cose in chiaro dal punto di vista del vigente darwinismo sociale). Naturalmente “quelli che sono rimasti indietro”, “gli sfortunati”, sono sempre e solo loro, i medesimi, quegli oppressi che adesso si ripresentano col nasone e il baffo finto: vieni avanti cretino. Gli oppressi stavano “sotto” soffocati dal peso dei soprastanti che se la spassavano al fresco, gli sfortunati invece stanno “indietro” come le retroguardie addette alle salmerie: riforniscono le eroiche avanguardie del progresso che, per pura filantropia, si fanno carico di enormi responsabilità per conto loro. Il vocabolario, a volte in modo poco appariscente, riesce sempre a dare atto dei cambiamenti; in questo caso testimonia una scomparsa.
L’oppressione non rientra ormai neppure tra le possibilità contemplabili.
Nessuno ha più il diritto di rivendicarla. All’oppresso è stata tolta perfino la miserabile soddisfazione di proclamarsi tale. Può scegliere: o è sfortunato oppure è rimasto indietro. Magari è rimasto indietro perché è sfortunato, o è sfortunato perché è rimasto indietro. Comunque la giri sono cazzi suoi.
Si è vero, si ammette che ci furono degli oppressi, una volta – almeno fino a quando qualche storico addetto alla revisione non scoprirà che in fondo si trattava di manodopera sacrificabile e assolutamente necessaria alle magnifiche sorti e progressive della umanità – ma, se pure sono esistiti, erano altri tempi che ormai ci siamo lasciati definitivamente alle spalle. Ora abbiamo quella che si definisce dialettica democratica.
C’è un conservatore – che si adopera per lo status quo nudo e crudo – e c’è un progressista – che allo status quo mette le mutande di flanella spiegandoti che gli oppressi, ormai, non esistono più, se non in luoghi lontanissimi. Si capisce…se infatti quelli che, qui ed ora, gli fanno le pulizia in villa, lo servono al tavolo del ristorante preferito, raccolgono la sua spazzatura così civilmente differenziata, gli consegnano la pizza a domicilio e impacchettano il cibo biologico che consuma fossero, diononvoglia, dalla parte degli oppressi, potrebbe sorgergli qualche dubbio circa la parte dalla quale si trova lui. E questo lo metterebbe in crisi perché lui, il progressista, supera a destra ma guida a sinistra e la sua levatura morale deve sempre rimanere indiscussa.
Molto meglio, allora, definirli sfortunati.
Per di più l’oppresso è, per definizione, un rompiscatole che magari tenterà di liberarsi dall’oppressione e di cambiare le cose. Allo sfortunato invece basta un bonus famiglia per pagargli una mezza bolletta – pagamento che per di più finisce lo stesso nelle tasche del benefattore. Praticamente è un terno al lotto. E mentre nel primo caso l’oppressore rischia di trovarsi a dialogare amabilmente col dottor Guillottin, nel secondo ha semmai ottime probabilità di guadagnarsi il Nobel per la pace e la gratitudine dell’umanità.
Nessun oppresso si aspetta l’aiutino dell’oppressore ma è facile persuadere chi invece “è sfortunatamente rimasto indietro” che qualcuno in preda a compassione si fermi ad aspettarlo e lo faccia per bontà d’animo, non perché ha bisogno che lui si faccia il culo spingendo la carretta.
Perciò chi chiama “sfortunato” l’oppresso lo immiserisce ancora di più, togliendogli la possibilità di ribellarsi e la dignità che dalla ribellione deriva.
Allo sfortunato che è rimasto indietro puoi dare la mancia – e si da il caso che ti sia anche grato – l’oppresso, se ci provi, ti mozza la mano.
Quella mano destra con la quale si scrivono i vocabolari.
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