Partiti e politici
La crociata anti-massonica di Rosy Bindi. Le logge si dividono sugli elenchi
A coniare il termine “massomafia” è stato il procuratore generale di Palermo Antonio Scarpinato. Il riferimento è a quel connubio d’interessi e di attività che in certe zone del Sud accomunano organizzazioni criminali e logge massoniche. La mafia usa la massoneria per insinuarsi nei gangli della società e la massoneria usa la mafia per avere vantaggi economici e controllo del territorio. Il fenomeno è emerso in tutta la sua evidenza la scorsa estate quando indagini nella zona di Castelvetrano (Trapani) e quella denominata “Mammasantissima” in Calabria hanno evidenziato questo legame. Che ha portato la commissione Antimafia del Parlamento presieduta da Rosy Bindi a fare un viaggetto in Sicilia per tenere audizioni in loco. Non è un caso, ad esempio, che le zone d’Italia a più alta densità di logge siano la Calabria e la provincia di Trapani.
In questi giorni Bindi sta continuando la sua battaglia. Nello scorse settimane, a Palazzo San Macuto, sede dell’Antimafia, sono sfilati numerosi gran maestri venerabili delle principali logge italiane. Ad esempio, è stato ascoltato Stefano Bisi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia (Goi) che, con i suoi 23 mila membri e 850 logge affiliate, è il principale ordine massonico del Belpaese.
Tre sono le strade su cui si sta muovendo la commissione. Innanzitutto sondare la disponibilità delle logge a fare pulizia al loro interno su eventuali soggetti criminali; in secondo luogo, come conseguenza, la disponibilità a fornire l’elenco degli iscritti; infine pensare a una legge che regoli in maniera più stringente l’accesso alla massoneria da parte dei dipendenti pubblici. “Se una persona entra in massoneria, giura fedeltà alla propria loggia, ma al contempo un dipendente pubblico è anche un servitore dello Stato, le due cose devono collimare e non entrare in conflitto. Per questo motivo un funzionario pubblico che diventa massone dovrebbe essere obbligato a comunicarlo quanto meno al suo diretto superiore”, osserva Bindi.
A dare nuova linfa all’azione della presidente dell’antimafia ha contribuito la vicenda dei fratelli Occhionero: Giulio, tuttora agli arresti, è un membro del Goi (ora sospeso) e le indagini hanno appurato come, oltre a spiare le alte cariche dello Stato, monitorasse anche i suoi “fratelli” massoni, compreso lo stesso Bisi. Il quale, però, in audizione si è rifiutato di fornire gli elenchi. “Purtroppo scontiamo un pregiudizio anti massonico ancora presente nella società italiana: dare i nomi dei membri del Goi significa mettere quelle persone in grave imbarazzo, col rischio di scatenare una caccia alle streghe verso gli affiliati. Non dimentichiamoci, inoltre, che tra gli obbiettivi dichiarati dell’Isis c’è anche la massoneria”, sostiene Stefano Bisi. “La segretezza è garantita dalla legge sulla privacy. Anche partiti politici, associazioni e sindacati non sono tenuti a rivelare l’identità degli iscritti. Nessuno dopo qualche scandalo è andato a chiedere a un partito i nomi dei propri tesserati. Perché quello che vale per gli altri non dovrebbe valere per noi?”, si chiede il capo del Grande Oriente. Secondo la legge, però, la commissione antimafia ha poteri inquirenti al pari della magistratura: se Bindi dovesse intimare al Goi di tirar fuori gli elenchi, Bisi non potrebbe rifiutarsi. “Ma lo considererei un atto persecutorio nei nostri confronti”, dice.
Tutto ciò rimanda a ben altri gran maestri e ad altri elenchi. Era il 17 marzo 1981 quando, durante la perquisizione di Villa Wanda a Castiglion Fibocchi (in provincia di Arezzo), le forze dell’ordine scoprirono l’elenco dei 962 iscritti loggia P2 (ma secondo la vulgata erano molti di più), guidata dal gran maestro venerabile Licio Gelli. Una massoneria segreta di cui facevano parte un numero impressionante di parlamentari, funzionari dello Stato, dei ministeri, dei servizi segreti, oltre a imprenditori (come Silvio Berlusconi) e giornalisti (come Maurizio Costanzo e il direttore del Corriere Franco Di Bella). La storia della P2 pesa come un macigno sull’idea che l’opinione pubblica ha di chi indossa guanti e grembiulino. E loro hanno sempre fatto molto poco per disinnescare il pregiudizio. Quando si parla di massoneria si pensa sempre a trame occulte miranti ad acquisire posti di potere all’interno dello Stato e della società. Una grande lobby dove si entra per migliorare la posizione sociale e ad accedere più facilmente a posti di potere. “Niente di più sbagliato. I nostri principi e le caratteristiche richieste a chi aspira a diventare massone sono ben spiegate sul nostro sito, con tanto di regole per l’ingresso, nel segno della più completa trasparenza. Chi entra nel Goi non avrà aiuti di questo tipo dagli altri fratelli”, spiega Bisi. Che, tornando all’indagine dell’antimafia, sottolinea: “Noi siamo i primi ad avere interesse a bloccare eventuali infiltrazioni di mafia e criminalità. Tra i requisiti di accettazione c’è anche quello di avere il casellario giudiziario intonso. Poi, detto questo, io non sono un magistrato né un poliziotto, non posso sapere se qualche affiliato sia mafioso sino a quando non è l’autorità giudiziaria a dirmelo”.
Sul fornire o meno gli elenchi, però, i massoni si dividono. Se Antonio Binni, gran maestro della Gran Loggia d’Italia, è sulla stessa linea del Goi (“commetterei un reato infrangendo la legge sulla privacy”), Fabio Venzi, della Gran Loggia Regolare d’Italia, e Massimo Criscuoli Tortora, della Gran Loggia d’Italia – Ordine Generale degli Antichi Liberi Accettati Muratori, auditi questa settimana, la pensano diversamente. “Sono pronto a pubblicare l’elenco sul sito. Questo toglierebbe le pruderie di chi vede sempre il marcio nel mondo della libera muratoria”, ha affermato Venzi in commissione. “Abbiamo qualche problema a darvi i nomi per via della privacy, ma se lei me lo ordina, io le consegno le chiavi della cassaforte e vado a bermi un caffè al bar”, ha detto Criscuoli Tortora rivolto alla Bindi. Che però, dicevamo, pensa anche a una legge per limitare l’accesso alle logge ai dipendenti pubblici. “L’idea sarebbe vietare loro l’ingresso, ma sarebbe incostituzionale. Così dobbiamo limitarsi all’obbligo di comunicazione al superiore”, spiegano dall’Antimafia. E adesso toccha ad altre logge sfilare in commissione. La crociata anti-massonica della Bindi continua.
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