Partiti e politici

La crisi infinita dei 5 stelle

8 Luglio 2022

Era nato per aprire il parlamento come una scatoletta di tonno, per cambiare radicalmente il modo di fare politica, per dare una speranza a tanti elettori disamorati del sistema partitico, che preferivano restarsene a casa nei giorni del voto, con tanto risentimento nei confronti di un apparato che appariva lontano, distante anni-luce dai problemi della quotidianità dei cittadini. Era una speranza. Parafrasando Gaber, si potrebbe dire che “Qualcuno era grillino perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché sentiva la necessità di una morale diversa; era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare veramente la vita”, e la politica.

Dieci anni più tardi, dopo il balzo del 2013 e il volo del 2018, dopo aver conquistato alla propria causa un terzo della popolazione elettorale, le ali si sono rattrappite, e la caduta verso terra si fa ogni giorno più rovinosa, senza nemmeno un paracadute di salvataggio. Elettori ed eletti del Movimento 5 stelle se ne sono progressivamente andati. Nel breve volgere di soli quattro anni, dei quasi 11 milioni di elettori ne sono rimasti appena tre o quattro, quasi tutti nel centro-sud, con un trend di costante abbandono, settimana dopo settimana; dei 340 parlamentari, tra Camera e Senato, ne sono sopravvissuti 160, e altri ancora stanno pensando di uscirne presto.

La linea politica complessiva, già difficile da interpretare agli esordi del M5s, è divenuta nel tempo sempre più confusa: le alleanze prima con la Lega, poi con il Pd e infine con “quasi tutti” non hanno permesso di identificarne una precisa, al di là di qualche specifico provvedimento legislativo, come quello del reddito di cittadinanza o il taglio dei parlamentari.

Con la leadership di Conte la situazione pareva inizialmente lasciare spazio ad una opportuna trasformazione verso una struttura di partito più classica, senza peraltro abbandonare alcune parole d’ordine “fondative”, come l’ecologismo e la digitalizzazione “democratica”, accanto ad un possibile accordo con il Pd in una ipotizzata area progressista. Ma le speranze sono presto svanite, riducendo l’impatto del M5s a questioni solamente tattiche e di posizionamento, senza trovare nuovi consensi, ed anzi perdendone progressivamente altri. Alle prossime elezioni politiche, Conte e il suo Movimento dovranno essere soddisfatti se riusciranno ad ottenere almeno il 10% dei voti. Ma è lecito dubitare che ce la facciano. Una triste fine per il sogno di Grillo.

*Università degli Studi di Milano

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