Partiti e politici

La crisi del governo Draghi non è solo colpa dei poteri stolti

16 Luglio 2022

A prima vista l’analisi della crisi del governo Draghi è già fatta. L’uomo che è riuscito a difendere l’Euro contro l’attacco dei poteri forti (quelli che si ritrovano nei salotti liberty nella City) non ha potuto nulla nel difendere il paese dai poteri stolti, quelli che si riuniscono nelle osterie dietro Monte Citorio. Analisi semplice, giusta, ma superficiale. Non ci dice tutto di quello che è successo in Italia con l’ascesa e il declino dei “grillini”.

I poteri stolti ce l’hanno messa tutta per convincerci. Argomenti di strategia politica finissima come: “famme star fuori dar governo per recuperare nei sondaggi, tanto tu la maggioranza cell’hai” fanno pensare a un chiaro appello agli stolti. E che dire del meraviglioso controcanto tra i politici grillini che almeno cercano di dissimulare il fine invocando le sofferenze del paese e il mitico professor De Masi che rilascia interviste che titolano: “Conte ha deciso di strappare per i sondaggi”.  Manca solo un sottotitolo del tipo “importa ‘na sega  del paese” e anche i più stolti sarebbero chiamati a raccolta. E il professore ex preside del corso di scienze di comunicazione quantifica anche in punti percentuali: addirittura 2 o 3, soprattutto se rientra Di Battista!

Ma se analizziamo la storia in campo lungo (non largo, per carità!) la questione che emerge è più profonda, e non chiama in causa soltanto i 5 Stelle. Il punto è come la casta dei politici di professione ha accolto, o meglio rigettato, un innesco di nuove risorse politiche dalla società civile per una via estranea a quella dei partiti, che pure dalle loro sezioni lamentano di non esistere più. Oggi stiamo vivendo l’epilogo di un esperimento di mutazione introdotta nel patrimonio genetico della politica italiana. E quello che più importa, e preoccupa, non è la caratteristica della mutazione, ma il rigetto da parte del corpo politico.

La mutazione non proveniva da una fonte promettende, e non prometteva risultati esaltanti. Non si è trattato di un movimento, e se non siete d’accordo chiedetevi quanti movimenti nella storia hanno ricorso alla protezione del marchio. Provate a pensare a Rudi Dutschke che rivendica il copyright del 68. Il Movimento 5 Stelle è nato da un pubblico, il pubblico di Grillo. Gente che non è stata ammorbata da Grillo quando faceva Canzonissima e che è stato disposto a pagare per andare ad ascoltarlo, e non solo per ridere.

Comunque, al di là del mio astio generazionale, l’esperimento si è fatto. L’innesco di nuovi protagonisti in politica è venuto da un comico, ma avrebbe potuto essere un professore universitario, un idraulico, un manager o un bibitaro. L’innesco ha avuto successo, e ha generato classe politica. Il primo approccio non è stato esaltante, con l’introduzione della forma di “contratto” tra parti politiche, per giunta sotto la guida di un professore di diritto privato che avrebbe dovuto bocciare qualunque studente avesse definito il “contratto” un istituto giuridico che vincola le relazioni tra partiti.

L’immissione più o meno casuale di nuovo patrimonio genetico nella politica italiana è avvenuta, e abbiamo nuovi politici. Gente non allevata nelle scuole di partito, ma proveniente dalla società civile, che ha potuto sedere nelle commissioni parlamentari e nei ministeri. Abbiamo avuto governi con molti di loro, guidati da uno di loro. E, al di là delle “sgrammaticature istituzionali”, si comportano come politici: alcuni sono governisti, e altri barricaderi. Alcuni pesano soprattutto l’interesse generale, altri pensano alla loro carriera personale. Alcuni sono rimasti agli slogan, altri hanno fatto una transizione verso i capitolati. E tutti comunque si producono nella stessa identica frase: “pensiamo unicamente alle sofferenze e ai problemi degli italiani, e al bene dell’Italia”.  Insomma, proprio come un Matteo qualsiasi.

Non sappiamo se e quanti di questi diventeranno statisti. Quello che possiamo registrare sono gli insulti e la derisione da parte della politica e della stampa. Questo accomuna i fuoriusciti al seguito del bibitaro che osò diventare ministro e i seguaci di quello che in fondo è solo un professore universitario che si è trovato alla presidenza del consiglio. Tutti senza cursus honorum, che nel gergo moderno significa essere stati a scaldare la sedia in una sede di partito e non aver mancato un anno alla sagra della salsiccia, finanziata dal partito.

Si può credere o no nella democrazia, ma se ci si crede significa accettare che una persona proveniente da qualunque ceto sociale o professione, possa governare, e non solo votare. Per la vecchia politica, invece, democrazia significa solo votare: scegliere da chi farsi rappresentare, purché la scelta sia limitata in una particolare casta di professionisti che chiamiamo politici. Perché gli altri, siano bibitari o cattedratici, sono “scappati di casa”.

E così, a parte alcuni casi isolati e desolati, l’innesco di nuova politica ha innovato la classe politica, ma ha anche generato spaccature. Abbiamo un centro spaccato, in cui gli inquilini bullizzano i nuovi arrivati, e una sinistra in cui il paternalismo del PD cerca di impartire la giusta educazione ai nuovi innesti rimasti nel movimento 5 stelle, istruendoli sulle buone maniere e sul galateo della loro politica, con il risultato di farli davvero scappare di casa.

C’è da dire che questo innesto di nuovi politici non ha interessato la destra, e a questo è dovuta la compattezza che dichiara nello stare unita al governo e all’opposizione (dello stesso governo, ovviamente). Qui le fibrillazioni sono legate al fatto che chi è stato contrario al governo, ma solidamente compatto con chi ne ha fatto parte, ritiene il buon diritto di governare il prossimo e disfare, sempre nel segno dell’unità, quello che gli altri hanno contribuito a fare prima.

E infine c’è Draghi. Draghi non è un politico, è stato un banchiere centrale. Per un banchiere centrale la credibilità è l’unica dote che conta. In più, come suo ex-studente posso ricordare che in Italia è stato il primo rappresentante della scuola delle aspettative razionali. In soldoni, è uno che crede che è essenziale inviare segnali convincenti agli operatori economici, e i segnali sono convincenti se si mantiene fede a quello che si dice.

A dire il vero, non c’è bisogno di ricorrere al paragone con un banchiere centrale per mettere in luce l’importanza della coerenza tra quello che si dice e quello che si fa. E’ più una prerogativa della società civile che della politica. Anche se fissate un appuntamento con un idraulico, è naturale attendersi che lui si presenti quanto avete fissato. Non vi viene in mente di dire: ma, si sa, gli idraulici cambiano idea. Invece, a sentire i giornalisti più esperti, sembra che questo cambiare idea e non tener fede alla propria parola faccia parte della deontologia della politica. Lo si pratica senza problemi, e lo si ricorda solo a Conte e a Di Maio, perché, appunto, non si ritiene cha facciano parte della classe politica.

Ora, Draghi ha detto che: 1) non si governa senza il Movimento 5 Stelle e 2) non ci sarà un Draghi bis. Ma Draghi viene avvertito come un politico, per cui il dibattito ferve solo sull’unica ipotesi che Draghi ha scartato esplicitamente: un Draghi-bis senza i 5 Stelle. Vedremo se anche Draghi diventerà un politico. Io non lo credo, né me lo auguro. Mi auguro anche di non vedere l’OMT mai usato fino adesso (il bazooka di Draghi, creato nel settembre del 2012 per mettere in pratica il famoso “whatever it takes” del luglio, giusto per ribadire che le cose dette si fanno) azionarsi a difesa dei titoli di stato italiani dopo un intervento della Troika.  Per questo mi auguro che politici e giornalisti capiscano che l’unica strada è che non ci sia un Draghi bis, ma il rinnovo della fiducia al Draghi 1.

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