Partiti e politici

La Consulta ha detto che Renzi se la può giocare, e che per lui non sarà facile

25 Gennaio 2017

Partiamo dal dato tecnico: il doppio turno, il vero pilastro su cui si fondava l’Italicum nella sua dichiarata ambizione di garantire certezza del risultato e governabilità dalla sera del voto, non c’è più, perché dichiarato incostituzionale. Il ballottaggio era stato concepito come l’architrave politico e tecnico della legge elettorale voluta dal pd renziano: tanto voluta da forzare fino al voto di fiducia, e quell’architrave salta. Con lui salta la possibilità, per i capilista candidati in più collegi, di scegliere quello in cui risultare eletti, di fatto decidendo ex post il destino del voto di molti cittadini votanti. Vero è che però, mentre censura la centralità della scelta dei singoli parlamentari, la Corte fa rivivere il criterio della sorte – di un sorteggio – che era previsto da una norma del 1957 e che non non censurato come incostituzionale dai tribunali che avevano presentato ricorso alla Consulta.

La palla, adesso, passa al parlamento e alla politica. La partita che inizia da domani si fonda su diversi elementi certi e su diversi altri che, invece, certi non sono. Partiamo dai primi.

Il sistema elettorale che c’è, dopo la sentenza della Consulta, si può riassumere così. Alla Camera c’è un sistema proporzionale a turno unico con un premio di maggioranza per la lista che arriva al 40%. I 630 deputati sono eletti in 100 collegi del territorio nazionale, ai quali va aggiunto un collegio per gli italiani all’estero. Non porta rappresentanti alla camera nessuna lista che non arrivi almeno al 3% su base nazionale. I capilista sono eletti automaticamente se in quel collegio la lista che li candida ha diritto ad almeno un seggio e, se risultano candidati ed eletti anche in altri collegi, sarà un sorteggio a decidere quale sia il collegio di elezioni, determinando quindi, a scalare, anche gli altri eletti. Per ogni lista votata sarà possibile esprimere due preferenze.

Al Senato, invece, la legge elettorale che c’è è quel che resta del Porcellum di Calderoli come già emendata dalla Consulta: cioè il Consultellum. Il sistema è proporzionale e i collegi sono venti, ritagliati sulle regioni italiani, più un collegio estero. Non ci sono premi di maggioranza, non ci sono liste o capilista bloccati, e c’è una sola preferenza esprimibile, ma c’è invece il sistema dello sbarramento: per entrare al Senato la lista che va da sola, cioè non coalizzata con nessuno, deve raggiungere almeno l’8%, mentre basta il 3% per chi si coalizza, a patto che la coalizione raggiunga almeno il 20%.

Nei prossimi giorni assisteremo a molte simulazioni, sui voti di ieri e sui sondaggi di oggi. Sarà sicuramente interessante. Da oggi però possiamo dire una cosa: le due leggi, come si vede, presentano diverse evidenti differenze, ma hanno un tratto di fondo comune: sono due leggi proporzionali a turno unico, e la previsione di un premio di maggioranza del 40% che sembra molto molto difficilmente raggiungibile da chiunque, le accomuna ancor di più come due proporzionali, a turno unico, sostanzialmente senza premio di maggioranza, fatta salva l’ipotesi che un partito (o una lista che sia così abile da aggregare più partiti trovando sufficiente identità, cosa che nella seconda Repubblica fu solo sfiorata, e solo al suo apice, dal Pdl di Berlusconi nel 2008). Insomma, due leggi che presentano differenze come del resto sono diverse per costituzione le basi elettorali delle due camere, ma che tecnicamente non sono incompatibili con l’esercizio del voto anche senza modifica alcuna. Con il rischio certo alto di due assetti sensibilmente diversi alle due camere, un rischio però inestinguibile in epoca di consenso tripolare, senza ideologie e capacità egemoniche, e in un sistema bicamerale con due basi elettorali diverse. Almeno dal punto di vista politico, quindi, l’armonia tra i due sistemi elettorali è difendibile e con esso la possibilità di votare in qualunque momento con questa legge, almeno per chi ne avesse l’interesse politico.

E gli interessati non sembrano pochi, anzi, a leggere le prime dichiarazioni il governo di Paolo Gentiloni ha i minuti contati. Agli scontati inviti alla vergogna e alle urne di Movimento Cinque Stelle, Lega Nord e Fratelli d’Italia, infatti, vanno aggiunte le parole, meno scontate e più pesanti, che arrivano dal Pd. “O il Mattarellum o si vota con questa legge”, dice Ettore Rosato, capogruppo Pd alla Camera. La prudenza di Forza Italia che con Gasparri chiede di armonizzare la legge del Senato a quella della Camera, e quella di Sinistra Italiana, che chiede un proporzionale più proporzionale, stimolano analisi politiche ma non cambiano la sostanza matematica: se quel che si dice oggi resta vero domani e dopo, in poche settimane Paolo Gentiolini e i suoi ministri devono preparare le valige e mettersi pancia a terra ognuno per la propria campagna elettorale.

Ma sarà proprio così? La questione, alla fine, è sempre questa. Nell’epoca della nuova post-verità i politici sono una certezza antica: possono dire oggi una cosa e domani (non) votarne un’altra. L’esistenza di una legge utilizzabile in qualche modo (vedi sopra) anche senza modifiche di sicuro lascia aperta la strada al disegno del segretario Pd e neo-blogger (proprio oggi, guarda un po’) Matteo Renzi, che con ogni forza continua a puntare sul voto a giugno. Se la corte avesse restituito una legge col doppio turno e senza premio al primo, ad esempio, sarebbe stato indispensabile immaginare un intervento più approfondito. Anzi, con ogni probabilità, una vera e propria nuova legge elettorale: con tutto il portato di necessario compromesso politico assai difficile tra forza dagli interessi non convergenti, ed i relativi tempi, necessariamente lunghi.

Qui la situazione è diversa. I teorici della linea garibaldina dicono che si può votare subito, con la legge che c’è. Al netto dei meritati complimenti per parlamenti che non riescono a fare una legge elettorale che stia in piedi da diverse legislature (sì, lo sappiamo, alla Corte Costituzionale sono vecchi burocrati, sarà senz’altro così, ma fare i conti con il sistema in cui ci si muove farebbe parte del fare politica), questa opzione va tenuta presente, almeno come ipotesi di scuola. Se tutti mantenessero la parola data oggi, il pd dovrebbe presentare dopodomani un disego di leggo che abolisca tutte le leggi elettorali vigenti facendo “risorgere” il mattarellum dalla ceneri e andare a contarsi in aula. Se trova la maggioranza, la nuova legge elettorale è quella con cui abbiamo votato nel 1994 e nel 1996. Se non li trova, si precipita dritti verso le urne con la legge che c’è.

Ma.

Ma naturalmente l’ipotesi che il quadro sia meno cristallino, di qui a qualche giorno, ha una sua energia. In parlamento più di qualcuno penserà che questa legge è sì direttamente applicabile, è sì sostanzialmente armonica almeno nei fondamentali, ma certo con qualche limatura lo potrebbe essere molto di più, molto meglio. Si tratta di poche modifiche – si dice, si dirà – per ridurre il rischio di equilibri troppo diversi tra le due camere. Di pochi ritocchi sugli sbarramenti, o sulle preferenze, o sui premi, perché Camera e Senato si elegganno in modi più simili, e diano risultato più vicini.

Tutto facile? Insomma, non proprio. Quando poi si entra nel merito e ci si prepara a votare i parlamentare tornano ad essere persone, e “uno vale uno”, come dice uno in particolare. Ognuno ha la sua sensibilità, il suo bacino elettorale, le sue sincere sensibilità, i suoi sinceri interessi. Renzi vorrebbe votare a giugno, magari assieme alle amministrative in nome di un grillissimo risparmio, ma non è detto che, neppure a casa sua, tutti siano convinti che sia una buona idea. Magari qualcuno vorrebbe prima potergli chiedere almeno di rilegittimarsi col proprio popolo in una contesa vera. Magari altri, anche tra i suoi avversari espliciti, oggi gridano al voto ma domani potrebbe scoprire ragioni per pazientare. Insomma, un cammino non così lineare, e con diverse variabili.

Sulle quali vigila Sergio Mattarella. Sul punto si è già espresso. Serve che le due leggi elettorali siano armonizzate. Cosa vuol dire, esattamente, adesso che due leggi costituzionalmente compatibili sono in vigore? E cosa pensa davvero Mattarella dell’ipotesi di un voto anticipato pur in presenza di una maggioranza eventualmente disponibile a sostenere il governo Gentiloni ben oltre la primavera? Se servirà, se riterrà che il messaggio originario e il pensiero futuro possa essere frainteso, sicuramente, troverà il modo di farlo sapere. E poi c’è un’altra variabile, non ptropio marginale: il voto degli italiani. Con qualunque legge, alla fine, decideranno loro. E farla facile – lo insegna la storia lontana e la cronaca di appena ieri – non è mai una buona idea.

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