Partiti e politici
La Cina di Xi Jinping post-Congresso: svolta o realizzazione di una politica?
Il XX Congresso del Partito Comunista Cinese, che si è concluso da pochi giorni, ha rappresentato, almeno simbolicamente, un punto di svolta decisamente significativo, dando il via ad “Nuova Era”, sempre più segnata dalla personalità di Xi Jinping. In realtà non si tratta di un vero e proprio inizio, quanto del suggello di una “lunga marcia” da parte del leader cinese iniziata ormai diversi anni fa, con un lento avvicinamento e una scalata alle cariche che ha avuto un carattere progressivo e continuo; un’occupazione delle posizioni di potere che l’ha visto determinato nel suo ruolo di “giovane” dirigente predestinato a un futuro di potere praticamente assoluto.
Lontani i tempi in cui fu governatore del Fujian (carica lasciata nel 2002), Xi dal 2008 ha ricoperto la carica di Vice-Presidente della Repubblica Popolare e Vice-Presidente della Commissione militare centrale, cariche che ha perfezionato divenendone presidente dopo aver assunto anche, nel 2012, la carica di Segretario del PCC. Tre cariche fondamentali del potere cinese che precedentemente erano state ricoperte da Hu Jintao. Quello stesso Hu che i media occidentali, con grande enfasi e poche spiegazioni, hanno ritratto nel momento della rimozione di peso dai lavori del Congresso che giungevano al termine: un’immagine plastica di un passaggio di potere, generazionale e certamente anche di impostazione. Un’impostazione, quella di Xi, più centralizzata rispetto alle precedenti, caratterizzate, invece, da una dispersione del potere che nella visione dello stesso è stata foriera della corruzione dilagante e di un’inefficienza del sistema di governo. E proprio la lotta alla corruzione è stata a lungo per Xi un monito per l’integrità del Partito e si è rivelata con il tempo un eccezionale strumento per l’eliminazione o la marginalizzazione di altri esponenti, oppositori o potenziali competitori.
Così, il Comitato permanente che esce dal XX Congresso appare come una fotografia di fedelissimi di Xi, con un profilo sempre più marcatamente tecnico e scientifico. Riconosciuti i meriti della Rivoluzione e della costruzione socialista, quelli della riforma e l’apertura alla modernizzazione, Xi ed il Partito da lui rappresentato, paiono pagare il debito di riconoscenza a due ingombranti predecessori che hanno incarnato quelle due fasi: Mao Zedong e Deng Xiaoping. La Cina che viene, però, rappresentata, è totalmente proiettata verso quella che viene definita la “nuova era del socialismo con caratteristiche cinesi”, capace di creare un “nuovo miracolo”.
Un passaggio preparato fin dal 2017, anche se, fino a quell’anno, le riforme costituzionali in Cina erano state limitate agli affari economici piuttosto che alle questioni politiche. E’ nello stesso periodo che si è anche prepara la revisione della Costituzione che ha abolito il limite di due mandati per la carica di presidente della Repubblica ed ha previsto un nuovo Preambolo che include il “Pensiero Xi Jinping” accostandolo alle dottrine di Mao e Deng, appunto.
Tra i temi chiave del Congresso anche quello della lotta alla povertà che avrebbe dovuto, nelle intenzioni del Comitato centrale del Partito essere sradicata nella sua forma assoluta già nel 2020. E’ certo che il problema resta centrale, non solo nelle ambizioni politiche del leader cinese, ma coglie il segno di un necessario superamento di una delle grandi contraddizioni della Cina, forse la più evidente. Se il Paese ha conosciuto, in questi decenni, una crescita imponente, diventa necessario oggi che i vantaggi possano essere estesi a una fascia più ampia di popolazione. Nell’analisi della dirigenza cinese non sfugge che il Paese asiatico debba superare la contraddizione tra l’essere il secondo paese per PIL al mondo e ben più indietro nelle classifiche per PIL pro-capite; così come resta ben evidente la presenza di milionari, che colloca la Cina tra le prime cinque posizioni, quando, allo stesso tempo, sono decine di milioni gli abitanti che vivono sotto la soglia di povertà. Se i recenti dati economici sulla crescita del Paese, diffusi proprio durante il Congresso, dimostrano essere più rosei di quelli previsti dagli analisti, restano di molto al di sotto delle crescite a cui la Cina era abituata ed aveva abituato il mondo. Sarebbe la prima volta dagli anni ’90 che Pechino riesce a crescere meno del resto dell’Asia. Un problema certamente non da poco per la leadership cinese, che ancora non è riuscita appieno a costruire un’economia basata sul mercato interno e che resta, dunque, ampiamente dipendente dalle esportazioni.
Il successo per il “secondo secolo” (di vita del partito, che ha celebrato il centenario dalla propria fondazione lo scorso anno) passa attraverso la centralità del Partito, il cui fulcro è lo stesso Xi, e il suo pensiero, e deve essere preservato attraverso il superamento di problemi interni come il rallentamento economico, gli alti tassi d’inquinamento, l’invecchiamento e la persistenza di sacche di povertà nell’entroterra.
Un “secondo secolo” che vedrà la Cina sempre più protagonista sul piano internazionale, e intenta ad archiviare il “secolo dell’umiliazione”, parendo dalla questione di Hong Kong, riacquisita nel 1997 e sempre più integrata nel controllo politico di Pechino, ma di cui la vicenda di Taiwan rappresenterà sempre un punto delicato. La cui riunificazione è data, infatti, come fatto scontato e inevitabile dalle parole introduttive ai lavori del Congresso da parte di Xi. L’Unità linguistica, culturale e politica per la Cina e i cinesi, d’altra parte, resta un punto fisso da 221 a. C., o forse più. Ed è proprio sui rapporti tra Cina e Taiwan che resteranno puntati i riflettori mediatici occidentali per il prossimo futuro, distraendo, forse, in parte da altri nodi altrettanto cruciali per interpretare l’evoluzione della “questione cinese”, della quale il “controllo” dell’Isola potrebbe restare il simbolo di uno scontro cruciale, quello tra Cina e Stati Uniti, soprattutto durante l’attuale momento storico.
Devi fare login per commentare
Login