Partiti e politici
La battaglia finale. Distruggere (anche) il giornalismo
Dopo aver contribuito a distruggere la politica di professione, galoppando allegramente nelle praterie aperte da media e magistratura, il MoVimento 5 Stelle sta preparando il colpo finale: annientare definitivamente la credibilità della stampa professionistica.
La linea comunicativa è quella di sempre: comunicazione unidirezionale e priva di contraddittorio sui mezzi “propri” – blog e pagine Facebook –, niente conferenze stampa e interviste concesse col contagocce. Possibilmente solo quando sono inevitabili, tipo l’ultima di Virginia Raggi da Mentana e su alcuni quotidiani nazionali nei giorni dell’interrogatorio. I media tradizionali tornano utili solo in caso di crisis communication, altrimenti si procede lungo il solito binario: parliamo “da soli”, dove vogliamo noi; la stampa è inutile e dannosa, un cumulo di venduti, sciacalli e “bufalari” al soldo dei “poteri forti”.
Fino a oggi, un manuale di comunicazione politica non avrebbe mai consigliato questa linea, specie per chi governa. Va bene il going public, la disintermediazione, le dirette Facebook, Twitter, i video “fai da te”, ma solo se supportati da un adeguato news media management, ossia da una “gestione dei rapporti con la stampa”. Il M5S, soprattutto nel caso Roma, sta invece dimostrando di voler intraprendere una strada nuova, pericolosissima, per tutti. La stampa professionistica è un nemico, come i politici di professione. Va ignorata e, se non fa la brava, screditata per intero, senza distinzioni.
Questa linea nasce anche da un equivoco, una colossale illusione ottica, quella per cui il M5S ha vinto a Roma nonostante avesse “tutta la stampa contro”. Tesi ripetuta in continuazione dai pentastellati e da molti dei loro elettori. Perché si tratta di un equivoco? Molto semplice, perché da dicembre 2014, tutti i giornali e tutte le trasmissioni televisive hanno presentato Roma come una città corrotta, infetta, “in mano alla mafia”, con un’amministrazione incrostata e infestata da dipendenti altrettanto corrotti e corruttori (“i 101 dirigenti infedeli”, dei quali risultano indagati si e no 10) e con responsabilità bipartisan, da destra a sinistra dei “vecchi partiti”. L’equivoco è facilmente svelato, dunque: Roma ha vissuto una lunghissima campagna elettorale in cui tutta l’odiata stampa ha in realtà tirato la volata al M5S, screditando qualsiasi altro competitor elettorale e distruggendone l’immagine e la credibilità.
Tradotto: il M5S non ha vinto a Roma “nonostante la stampa”, ha vinto grazie alla stampa. O meglio grazie alla media logic, cioè al “mercato”, alla vendibilità delle informazioni. Scandali, processi, inchieste, retroscena, gossip, relazioni pericolose… queste sono le notizie che “vendono”, tanto sui giornali quanto in TV. E questo tipo di notizie ha permesso ai 5 Stelle di nascere, crescere e vincere, anche a Roma. Ora che governano loro, però, il cerchio si è chiuso. E quella stessa logica rischia di tritarli, anche in tempi rapidi.
Posti di fronte a questo scenario, essi avevano (o forse ancora hanno) due alternative: 1. Provare a gestire i rapporti con la stampa – e dunque, ad esempio, non presentare i 91 “successi” su FB, ma in decine di conferenze stampa e di interviste per provare a controbilanciare l’informazione incentrata su vizi privati e pubbliche brutte figure. 2. Continuare lo scontro frontale portandolo alle estreme conseguenze, al discredito totale di chi fa informazione per mestiere.
Pare che abbiano scelto la seconda, coerentemente con quanto detto e fatto finora, ma rischiando di aprire un vulnus mostruoso nella società.
Chi vota 5 Stelle ha già deciso che si può fare a meno dei politici e che bastano cittadini onesti per amministrare una città, come una nazione. Il prossimo passo è che si possa fare a meno anche dei giornalisti perché ormai il citizen journalism ha soppiantato la stampa tradizionale, che è “bufalara” tanto quanto ognuno di noi.
Tutti possono fare politica. Tutti possono fare i giornalisti. Senza competenze, conoscenze specifiche ed esperienza. È questa l’ultima sfida di Grillo & Co., affiancata da una campagna per la libertà della rete e contro le battaglie alle fake news, che andrebbero “verificate” da una giuria popolare (!) non a caso.
L’obiettivo è chiaro: trasformarci tutti in una folla indistinta e credulona, che si informi solo mediante spot propagandistici unilaterali e che decida “autonomamente” cosa è vero e credibile e cosa no. Un neoreale “fai da te”, totalmente privo di autorità cognitive, che ci lascerebbe in balia di chi ha più armi emotive per arrivare alle nostre pance. Sognavamo l’intelligenza collettiva, stiamo per finire nella demenza digitale. Temevamo l’uomo-massa moderno, rischiamo l’uomo-folla postmoderno in cui l’emozione pubblica diventa l’unica bussola per tutti e la post-verità regna sovrana, per scelta e “comodità”: la realtà diventa on demand, è vero solo ciò che mi piace e conferma i miei (pre)giudizi. Cosa c’è di meglio…?
Precisazione finale ed essenziale: non è mia intenzione difendere politici o giornalisti. È mia intenzione difendere “la politica” e “il giornalismo”. Come categorie e come funzioni. E difendere competenza e conoscenza, che paradossalmente in una società ipercomplessa e interconnessa stanno sparendo dall’orizzonte delle cose che contano. Se scopro che un medico sbaglia, cambio medico. Non distruggo la categoria. E, soprattutto, non vado a farmi visitare dal tabaccaio…Gli esseri umani sono fallibili. Non i politici, non i giornalisti. Tutti gli esseri umani. Quelli incompetenti anche di più. Finché siamo in tempo, cambiamo direzione.
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