Partiti e politici
Italicum sì, Italicum no
Sulle spiagge italiane ci sono due argomenti che tengono banco, tra una nuotata e l’altra: la scelta referendaria sulla riforma costituzionale ed il giudizio sull’Italicum. Del primo tema ci sarà tempo di parlarne, da qui al giorno del referendum, mentre è urgente fare un po’ di chiarezza sulla nuova legge elettorale, per evitare inutili litigi sui lettini prendi-sole. Analizziamola allora brevemente, punto per punto. Un po’ noioso, lo so, ma è meglio essere informati, nelle discussioni estive.
Questione coalizione.
Dalla seconda repubblica ad oggi, prima con il Mattarellum e poi con il Porcellum, si è sempre votato con un sistema in cui, per poter vincere, era quasi indispensabile unirsi ad altri partiti. Ma si è visto che, se questo approccio era certo utile per la vittoria, la coalizione di diverse forze politiche non dava grandi garanzie né sulla efficacia delle proposte di governo (troppi veti) né sulla stabilità dell’esecutivo. Prodi 1 e Prodi 2 sono caduti dopo solo due anni per il ritiro dell’appoggio di qualche partito “minore”, che avevano già precedentemente impedito all’esecutivo di varare leggi che a loro non piacevano. Berlusconi 1 è durato solo qualche mese, perché la Lega è uscita dalla maggioranza; Berlusconi 3 è stato messo in crisi dal dissenso di Fini.
La soluzione dell’Italicum è quella di impedire la presenza di forze coalizionali, sia al primo turno che al ballottaggio, per evitare il rischio di cui sopra ed obbligare il partito che vince a governare in solitaria, per poi farsi giudicare lui solo dagli elettori (la cosiddetta “accountability”). Senza poter accampare, verrebbe da dire, le consuete scuse di rito: “non possiamo legiferare come vogliamo per colpa degli altri partiti in coalizione”.
Dicono che Renzi fece questa proposta pensando al suo trionfo alle Europee, con il Pd oltre il 40%, ma forse anche lui del tutto stupido non sarà. Sapeva benissimo che quel voto era molto contingente e difficilmente replicabile nelle consultazioni politiche. Semplicemente, l’idea era di far governare un partito e poi giudicarlo nel merito. Se vinceranno i 5 stelle, si vedrà cosa saranno in grado di fare, nel bene o nel male. Poi gli elettori decideranno se confermare questa scelta o cambiarla, nella successiva elezione. In fondo, il Pd era nato proprio con questo intento “maggioritario”, altrimenti tanto valeva rimanere con Ds e Margherita, uniti ma separati.
Oggi l’impianto coalizionale servirebbe soltanto al centro-destra, perché nè Pd né M5s potrebbero allearsi con altre forze politiche. Se poi si volesse re-introdurlo per evitare un ballottaggio (perdente) con i 5 stelle, sarebbe una scelta unicamente tattica, alquanto deprecabile.
Questione preferenze.
Da sempre il centro-destra è su posizioni favorevoli alle preferenze, mentre il centro-sinistra è storicamente contrario, per evitare voti di scambio così diffusi in alcune aree del paese. Si dice che senza preferenze ci sarebbe la dittatura dei partiti, un parlamento di nominati, e così via. Ma occorre sottolineare due cose. La prima è che nell’Italicum avremmo di fatto il partito vincitore con al massimo 100 deputati “bloccati” e circa 250 “preferiti” dai cittadini, mentre soltanto nei banchi dell’opposizione ci sarebbero unicamente deputati capolista (quindi designati dai partiti). Una situazione che fornisce un paio di vantaggi: non si corre il rischio che, dall’opposizione, si verifichino voltafaccia inaccettabili a favore del governo, più facili se gli eletti non sono “controllati” dal proprio partito; verrebbe garantita una buona dialettica interna al partito di maggioranza, che non può governare contando solo sui “propri” deputati bloccati.
La seconda cosa da sottolineare è che, in pratica, sono sempre (stati) i partiti a stilare le liste dei candidati, che ci siano o meno le preferenze, ed è quindi molto difficile che vengano presentati candidati chiaramente contrari alla linea del partito. Anche nei collegi maggioritari, la scelta di chi far correre nei diversi territori non era certo il frutto di consultazioni popolari (non ci sono mai state primarie), ma alchimie interne alle diverse coalizioni. Sebbene in numero molto più ridotto di quanto vuole la leggenda popolare, ci si trovava a volte con personaggi “catapultati” da Roma, decisi a tavolino.
Questione soglia.
Si sente dire che è inammissibile che possa governare un partito che gode del favore magari soltanto di un 25% della popolazione, ma che al ballottaggio viene poi preferito dalla maggioranza degli elettori del secondo turno. Ma questo è esattamente il modello delle elezioni comunali. A Parma il futuro sindaco Pizzarotti ottenne il 19% al primo turno; Appendino a Torino ebbe poco più del 30%, e così via. In questi casi nessuno pare però stracciarsi le vesti. Come mai? Nelle presidenziali francesi, è diventato a volte Presidente della Repubblica un candidato che al primo turno aveva ottenuto poco più del 20% dei suffragi. Qualcuno l’ha mai delegittimato?
Ma il ballottaggio in realtà serve proprio a questo, per evitare che vinca un partito che non ha sufficienti consensi, al primo turno, e viene legittimato dal secondo. E’ come se, in mancanza di un partito o di un candidato largamente preferito da tutti, si votasse per una sorta di “second best”. Lo spirito della legge elettorale è quello di spronare i partiti minori verso il ricompattamento con i maggiori, sulla strada delle altre democrazie europee.
E’ ovvio che la governabilità di un sistema tripolare, o quadripartitico (come in Spagna), sarà sempre un problema. Con il proporzionale, più o meno puro, non ci saranno mai maggioranze (si veda appunto la situazione spagnola, dove si tornerà a votare ogni anno per sempre). Con il premio di maggioranza, ad un turno, la distorsione parlamentare sarà molto evidente. Il ballottaggio, da questo punto di vista, pare il minore dei mali, per garantire comunque un governo stabile al paese.
In definitiva, l’Italicum non è certo il miglior sistema elettorale possibile. Per me, meglio sarebbe forse un maggioritario di collegio a doppio turno. Sono anche presenti numerosi aspetti immotivati, primo tra tutti il numero dei collegi (perché 100? e non 20, oppure 475, come nel precedente Mattarellum? non si sa). Oppure la soglia per vincere al primo turno (perché il 40%, e non il 45%, o il 42%? non c’è alcun motivo, paiono numeri a caso…). E altri elementi meno rilevanti, come il numero dei candidati per collegio, che non è qui il caso di approfondire.
L’Italicum ha comunque una sua logica, su cui si può certo dissentire. Molti affermano ad esempio che sia meglio comunque un proporzionale, anche se non darebbe sicuramente alcuna maggioranza di governo possibile. Come dire: meglio nessun governo che una governabilità “indotta” per legge. Ma resta il fatto che la nuova legge elettorale ha il merito di cercare di risolvere alcuni problemi decisivi, e non pare così campata per aria come alcuni ipotizzano. Se ce la farà, lo vedremo presto, al massimo tra un paio d’anni. A meno che, ovviamente, non cambi tutto di nuovo. Siamo in Italia, inutile sottolinearlo.
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