Partiti e politici
Un Governo che infanga l’identità italiana
Ci sentiamo italiani quando siamo all’estero, per differenza. Noi siamo quelli che al ristorante pagano alla romana. I tedeschi ad esempio no – pagano quello che hanno consumato. Noi socializziamo, difficilmente godiamo dello stare da soli, ci muoviamo in compagnia, andiamo dove siamo certi di conoscere qualcuno. Manifestiamo affetto e generosità – che sia per compiacenza o educazione.
Nello studio o sul lavoro, all’estero, ci riconosciamo italiani per quel tratto creativo nostro peculiare – nostro peculiare è il sistema educativo, nostra peculiare la tradizione familiare – con cui affrontiamo gli impegni, e per l’attitudine bonaria con cui smussiamo i contrasti. Noi non affrontiamo i problemi, li scompaginiamo e li ricomponiamo. Non siamo eccentrici, anzi tendiamo a conformarci. Seguiamo le mode, stiamo nel mainstream: assecondare le consuetudini ci rassicura, e rassicura. Siamo in generale ben accolti all’estero perché siamo allegri, ci piace cucinare e creiamo spontaneamente opportunità di contatto umano. Ci riconosciamo in questo, per differenza, e ne siamo fieri.
Siamo italiani anche in Italia. Tuttavia qui la cifra peculiare della nostra identità cambia. In Italia davanti a 170 persone torturate, violentate, devastate da mesi, talvolta anni di abomini, e trasportate in salvo a bordo di una nave italiana – la Diciotti – noi italiani non abbiamo mostrato pietas, nessuna pulsione naturale alla protezione. Ma che dignità c’è in chi fa il forte con i deboli? Cosa c’è di italiano in questo?
Davanti a un governo che abusa del Diritto, lo infanga e così infanga l’Italia, gli italiani stanno col governo. Il governo rende l’Italia un paese che oltre i principi e gli obblighi legali viola gli obblighi umanitari, e noi non avvertiamo in questo la definitiva perdita della nostra identità. Un patrimonio dilapidato per cui dovremmo chiedere i danni all’avvocato del popolo Giuseppe Conte.
Noi che il fascismo l’abbiamo avuto, che siamo emigrati, che abbiamo vissuto sciagure e povertà. Noi che abbiamo mantenuto umanità anche da soldati di esercito occupante, ed è questo che ci ha permesso di stare dalla parte sbagliata della storia, venirne sconfitti ed essere riammessi al tavolo dai nemici che avevamo aggredito. Senza questa identità umana cosa diventa l’identità italiana?
Umanità non significa bontà, significa sviluppare processi mentali e sociali fondati su contrappesi funzionali e culturali all’istinto – che pure è una caratteristica che la specie umana condivide con gli animali. Noi italiani non siamo buoni. La nostra umanità è più emotiva che razionale, è una umanità discrezionale, calibrata sulla prossimità, conformista, viziosa.
Noi siamo quelli che usano il denaro pubblico con la stessa logica con cui pagano alla romana – ordiniamo in abbondanza, tanto poi si divide. Insieme consumiamo sempre più di quanto non faremmo da soli, o come faremmo al self service dove il conto lo fa quello che si aggiunge al vassoio.
Noi siamo quelli che negli Anni 80 hanno superato il Pil del Regno Unito, un sorpasso storico frutto sì di tanta spesa pubblica improduttiva ma anche conquista meritata da una identità produttiva nazionale fondata sulla creatività, la modernità, la capacità di sviluppare mercati e affermare tendenze globali. Il famoso made in Italy è il valore aggiunto che ancora amiamo applicare ai nostri prodotti come fosse dovuto, mentre è un patrimonio che noi abbiamo solo ereditato da un periodo in cui l’affermazione identitaria era fondata sull’eccellenza. Non è stata creata dalla politica, quella identità nazionale vincente, ma la politica ne era parte.
Con il governo del cambiamento invece sta succedendo il contrario. E’ la politica con Salvini – e prima di lui la Meloni e prima di loro quelli dell’italianità di aziende vergognosamente inutili come Alitalia – ad aver costruito artificialmente una identità italiana che non esiste. O meglio: un racconto indentitario, con una trama coerente, semplice nella quale gli italiani sono ostaggio di nemici (il Parlamento, gli stranieri, l’Europa) e l’identità italiana si assume per contrarietà, opposizione – come in guerra.
Questo meccanismo funziona perfettamente. E’ lo stesso che ha condotto all’ascesa democratica di nazismo e fascismo (che nascono movimenti rivoluzionari ma “pacifici”, nonostante le manganellate, fondati sulla rivendicazione della dignità “patriottica”).
Il fatto è che più siamo contro, meno siamo noi. Più ci definiamo per contrarietà, più smarriamo la nostra identità. Salvini infatti non definisce l’identità italiana né individua le virtù sulle quali costruirne l’affermazione. Salvini si limita ad amplificare il racconto indenititario che non si è nemmeno inventato lui, perché è vecchio come Mussolini, lontano come Trump, autoritario come Orbàn – notate? Non c’è italianità in questa ispirazione.
All’identità italiana il Meeting di Rimini ha dedicato un ciclo di incontri curato dal “credente non cattolico” Luciano Violante. Una proposta di riflessione apprezzabile, anche dal punto di vista metodologico. Interrogarsi su cosa ci renda fieri di noi è il primo passo per non precipitare, di decreto in decreto, nella indegnità.
Assumere il modello Australia sui respingimenti, gli Stati Uniti sul nazionalismo economico, e la Russia sulla manipolazione della democrazia – cioè conformarsi a tradizioni identitarie storicamente fondate su asset antitetici ai nostri – non ci rende più forti, ci rende servi smarriti e senza appunto identità.
L’identità di un popolo non è immutabile. Tuttavia non può essere inventata artificialmente – top down su Facebook. L’identità si sedimenta nel tempo come emulazione sistemica di esperienze che si fanno reti di esperienze, modelli, sistemi socio-culturali e produttivi che assumono caratteristiche proprie. L’identità è il frutto dell’insieme di peculiarità, tradizioni, saperi che diventano spazi economici, paradigmi democratici, culturali, produttivi che non si riproducono per via ereditaria ma si generano, rigenerano o distruggono.
Il governo del cambiamento sta lavorando alacremente alla distruzione, e ha i numeri per avere successo. Il progetto alternativo alla distruzione di Di Maio e Salvini e alla spregiudicatezza post-ideologica che si fa comando senza princìpi, è la democrazia – la condivisione dei motivi e dei modi di stare insieme, il percorso comune nel tracciato dei doveri, delle ambizioni, delle opportunità.
C’è una metà di italiani che la barbarie non la vuole, né vuole un nuovo Renzi (o chi per lui), ma che ha invece esigenza di un progetto democratico – non una ricetta tecnocratica – di cui poter essere protagonista. Questo è fondamentale perché la persona oggi per lo più è sola, non ha potere anche se ha il mondo alla sua portata.
La democrazia italiana va innanzitutto applicata. Leggi elettorali che la manipolano, sistemi di informazione controllati dalla politica sono aberrazioni che vanno rimosse insieme alle norme liberticide che mortificano il Diritto, la scienza, la conoscenza. E per questo non è sufficiente il pur necessario cambio di leadership nel Pd, né ha alcun appeal la resistenza comune del fronte democratico ai barbari che pure alcuni invocano – auspicando addirittura come fa il Foglio una cosa patetica come il Nazzareno 2 – un episodio talmente marginale, grottesco, caduco della storia politica patria che auspicarne il replay suona davvero paradossale.
Se immaginiamo la nostra identità comune fondata sul contro abbiamo già perso. Se invece immaginiamo un’alternativa fondata su un metodo di costruzione democratica, sarà naturale far venire fuori il per e sarà impossibile non farlo con.
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