Partiti e politici

Chissà dov’è Teheran, lo sconcertante provincialismo della politica italiano

8 Gennaio 2020

Mentre il mondo si prepara a una nuova, potenzialmente devastante guerra mediorientale, la politica italiana si mostra per quello che è. Poca, pochissima roba. La lettura dei giornali di questi giorni lascia un disagio che sconfina rapidamente nello scoramento. È solo la fotografia precisa di un paese provinciale, ignaro dei rischi che corre, incapace di guardare in avanti oltre il proprio naso, e più indietro del proprio culo.

Se così non fosse, non sarebbe consentito alla politica italiana, nel pieno di una delle più gravi crisi internazionali degli ultimi anni, di parlare incessantemente di piccole cose, tutte volte al dibattito che divide i partiti dai propri alleati o, peggio, dai propri avversari. Così, in ordine di grandezza dei gruppi parlamentari, ci troviamo con un Movimento 5 Stelle integralmente concentrato sulle purghe per i parlamentari renitenti al pagamento dell’obolo da versare nelle casse del partito e del suo azionistra di controllo; con una Lega “pancia a terra” sulla campagna elettorale emiliana e il suo capitano Salvini che si emoziona quando vede una ruspa e tesse l’elogio delle scelte di Trump senza neanche averci pensato dieci minuti; con un Pd che – racconta qualcuno che partecipa alle riunioni – continua a parlare solo di Renzi mentre trangugia un giorno dopo l’altro l’amaro calice di un governo nato cieco; con Renzi e i suoi che fanno guerriglia più o meno su tutto, per continuare ad esistere in tv e, sperano, così, alle urne; con la sinistra sinistra che butta lì l’idea di abolire il jobs act, senza uno straccio di alleanza per realizzare il piano nè – ma ormai è questione remota – un brandello di popolo da mobilitare. In primo piano, le quoestioni “vere” sono l’abolizione della prescrizione, prima lasciata avvenire e poi angosciosamente ributtata al centro della discussione, e il taglio dei parlamentari: con un referendum confermativo che incombe. E l’unica questione che sembra impaurire tutti, in realtà, è l’ipotesi della fine della legislatura: chi ci perde e chi ci guadagna, nel caso?

Sullo sfondo, più lontante, questioni di altro rilievo: Alitalia e, soprattutto, Ilva. Questioni serissime, la seconda soprattutto. Ma anche queste dovrebbero “scomparire”, per qualche settimana, se si guardasse a quanta e quale è la posta in gioco nel perimetro disegnato da Teheran, Bagdad, Gerusalemme e Washington, senza dimenticare Istanbul e Tripoli. Il presidente Conte ha rassicurato tutti spiegando, con ampi giri di parole, che prima di dire la nostra dobbiamo essere prudenti e coscienti che siamo di fronte a una questione complessa. Chi l’avrebbe detto mai.

Una questione che riguarda, in effetti, interessi nazionali economici enormi, quelli delle più importanti aziende italiane e quindi di molti cittadini, a tacere del fatto che il contingente italiano è impegnato, eccome, nell’area. Una vicenda che nerisce direttamente al collocamento internazionale del paese, al nostro peso in Europa e, domani, anche nuove pressioni sul Mediterraneo sia dal punto di vista geostrategico sia dal punto di vista migratorio. Una questione, infine, che definisce in modo importante che paese siamo, a quale diritto crediamo, in quale modo sappiamo contemperare la necessità del realismo politico e la tenuta di qualche valore ideale.

Una volta, almeno nei vertici dei partiti, sio sarebbe discusso e magari litigato di tutto questo. Ironia della sorte, l’assenza totale di ogni dibattito si specchia, in questi giorni, nel ventennale della morte di Bettino Craxi. Un’epoca, la sua, bollata con faciloneria come tempo di nani e ballerine che oggi si fa rimpiangere come tempo in cui la politica conosceva il mondo e lavorava sui suoi equilibri. Lasciando la sensazione, precisa e amara, che il tempo dei nani sia, invece, il nostro: e destinato, in un modo o nell’altro, a durare ancora per un po’.

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