Partiti e politici

IO, UNA LIBERAL SENZA FISSA DIMORA

20 Novembre 2014

Politicamente mi definisco una liberal di centrosinistra (senza trattino), che per me vuol dire porsi al centro della sinistra e avere un atteggiamento laico e rispettoso verso i diritti di tutti e anche verso il mercato.

Da 5 anni ho la tessera del Partito Democratico ma lo voto dalla sua fondazione, ho sempre creduto nel bipartitismo e il partito veltroniano a vocazione maggioritaria l’ho sempre pensato come casa mia.

Nel 2012 ho votato Renzi alle primarie, non del tutto convinta da lui ma estremamente convinta del fatto che il partito guidato da Bersani avesse bisogno di uno scossone e di un rinnovamento di persone, linguaggio e politica. Insomma ho votato Renzi per vedere l’effetto che faceva. Ho perso.

Nella primavera del 2013 ho fatto campagna per il PD sia nazionale che regionale. Ho perso.

Non ho mai digerito il governo delle larghe intese, perché credo che i colori dei governi debbano essere netti per poter essere accountable, almeno un po’. Altrimenti sarà poi difficile alla successiva tornata elettorale premiare chi ha governato bene.  Secondo me era meglio tornare a votare subito, magari con lo stesso Renzi candidato premier. Ma il Presidente della Repubblica non la pensava come me.

Nell’autunno del 2013 ho partecipato molto attivamente alla campagna congressuale di Giuseppe Civati e, indovinate un po’, ho perso. Mi ero riconosciuta nel merito e nel metodo di Civati, la mozione (quella tanto lunga)  era quasi tutto quello che io volevo da un partito politico, il mio partito. Lì dentro c’erano il merito, la competizione, l’attenzione a chi lavora (in opposizione a chi vive di rendita) e a chi non lavora (i veri poveri), i diritti per tutti, un’idea di sviluppo moderna e sostenibile, la legge elettorale che rende più accountable i parlamentari e un’idea di partito aperto e moderno, ma solido e presente nella vita vera dei cittadini.

Ho comunque pensato che il PD potesse continuare ad essere il mio partito, perché se nel metodo di Renzi non mi riconoscevo, nel merito c’erano tante proposte equivalenti tra le quali la critica alle larghe intese. Riconosco a Renzi invidiabili capacità di comunicazione e almeno speravo che saremmo andati a votare con lui candidato premier, per vincere e vincere bene. Poi c’è stato #enricostaisereno e abbiamo saltato un passaggio. Ho comunque sperato che al governo avremmo avuto i “nostri” e che avrebbero governato ascoltando anche le altre voci provenienti dal partito. Ho di nuovo sbagliato, potremmo dire che ho perso di nuovo.

Mi ritrovo a fine 2014 con il mio partito che ha semi-approvato una legge elettorale con liste bloccate e candidature multiple, che (non) ha abolito le province, che ha abolito il senato ma-anche-no, che ha approvato il miope e retrogrado SbloccaItalia (o meglio lo ScroccaItalia), che ha approvato il Jobsact abolendo quel brandello di tutela reale che a detta di tutti non spaventava nessun imprenditore.

Il paese continua ad avere (quasi tutti) gli stessi problemi di prima. Abbiamo un governo che troppo spesso rinuncia a lavorare con rispetto, serietà e devozione (e magari un po’ in silenzio). Mentre non perde occasione per cercare lo scontro, dividere con faciloneria il mondo i buoni/cattivi, belli/brutti, nuovi/vecchi. Questa polarizzazione a mio modesto parere cerca di nascondere difficoltà e (futuri) insuccessi che non si vogliono superare con l’umiltà e la collegialità che forse meriterebbero.

Insomma, dopo parecchi anni, non sono più sicura che il Partito Democratico sia casa mia. E non è un problema di narrazione.

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