Partiti e politici
Implorare Mattarella vuol dire ammettere la bancarotta della nostra democrazia
I centoventicinque voti arrivati alla terza chiamata a Sergio Mattarella fanno parlare, e molto, il palazzo romano e chi lo frequenta a vario titolo in queste ore. Sono voti non concordati, non pianificati, non dichiarati. Sono voti spontanei di parlamentari e delegati regionali che, per quanto si sa, non hanno ricevuto ordini da parte di alcun capo partito. Difficile capire da quali gruppi arrivino, ma non è invece difficile fare ipotesi verosimili, soprattutto sondando gli umori dei parlamentari. La rielezione di Sergio Mattarella, infatti, è sulla bocca di molti mesi, ora come auspicio ora in forma di previsione. Quel nome lo fanno in tanti nel gruppo misto, in tanti nel Pd, in tanti tra i 5 Stelle. Difficile, come sempre, distinguere le pur legittimi aspirazioni a finire la legislatura da parlamentari in carica dalle più nobili preoccupazioni per la stabilità economica e sanitaria del paese. Difficile separare la certezza di chi non sarà ricandidato alle prossime elezioni, quando saranno, dalla speranza di chi crede in un parlamento che assomigli di più ai propri desideri, una volta rinnovato.
Una cosa però è certa: l’ipotesi che si chieda a Sergio Mattarella di tornare sui suoi passi si fa via via più concreta. La caduta di petali già poco floridi da rose che non sembravano freschissime già al momento della loro presentazione restituisce la sensazione di schieramenti politici che sono arrivati fragili all’appuntamento con l’elezione presidenziali, e col passare dei giorni invece di trovarsi si perdono. Salvini è stretto nel doppio ruolo di capo di una coalizione che è diversa da quella che sostiene un governo di cui vorrebbe essere però azionista forte. I 5 stelle sono dilaniati dalla diarchia tra un capo politico in carica, Conte, che non sta nemmeno in parlamento, e da un punto di riferimento politico vero, Di Maio, che sta in parlamento e al governo. Il Pd di Letta diviso tra la voglia di camminare verso una meta precisa nel segno della discontinuità con le precedenti gestioni della ditta, oggi capitanata da Enrico Letta, e le spinte conservative di un gruppo parlamentare che dalle precedenti gestioni viene, e che sa che in buona parte non farà parte delle prossime.
In questo quadro, la soluzione più comoda è quella inerziale: chiedere a Mattarella di restare dov’è disfacendo gli scatoloni, in modo da sterilizzare ogni tentazione di discontinuià in Draghi, garantendo il perdurare dello status quo ancora un po’. Uno status quo – vale la pena di ricordarlo – che è già di per sè un’anomalia politica e istituzionale evidente, giustificata con la pandemia che però ha attraversato e flagellato tutti i paesi democratici del mondo senza però interrempere – se non in Italia – sia la possibilità di confrontarsi elettoralmente, sia l’opportunità di contrapporsi negli organi elettivi sulla base di differenti appartenenze e provenienze politiche. In Italia no, le anomalie di un sistema politico vicino alla cancrena hanno generato invece questa anomalia macroscopica che è la maggioranza del governo Draghi. A questa se ne vorrebbe aggiungere un’altra, con la nuova rielezione di un capo dello stato. Anzi, proprio per salvaguardare l’anomalia di quel governo si vorrebbe normalizzare l’eccezione della rielezione del presidente della Repubblica. Un’eccezione che tale doveva rimanere, come ha più volte lasciato intendere attraverso citazioni e ricostruzioni giornalistiche “autorizzate” lo stesso Presidente Mattarella.
Ora, a fronte di questo quadro, la tentazione pigra di arrendersi all’impossibilità di dare a lui un successore, forzando la mano fino a ottenere una sua disponibilità, sarebbe la certificazione di un fallimento del sistema politico e in definitiva democratico dell’Italia come nazione. Non sarebbe illegittimo, costituzionalmente, ma sarebbe invece drammatico politicamente. La questione non sembra preoccupare nessuno, che un paese allenato alle anomalie sembra non accorgersi più di come si possa perfino fare di più, e fare peggio. Eppure, questo finale andrebbe scongiurato con ogni forza, perchè sarebbe l’ennesimo passo verso la fine di ogni residua credibilità della politica. Il fenomeno peraltro travolgerebbe anche il presidente della Repubblica, e in questo caso uno dei più amati e stimati dai cittadini, perché sarebbe difficile far dimenticare la risolutezza con cui un bis era stato da lui stesso escluso. A tacer d’altro, sarebbe solo il tentativo, un po’ patetico, di rinviare di qualche mese l’appuntamento con le elezioni e con il destino di un paese e di una classe politica. Le due cose, in buona parte, coincidono, e speriamo di non dover aggiungere: “purtroppo”.
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