Partiti e politici
Voto farsa, soldi e poltrone. La verità sul mancato matrimonio tra Alde e M5S
“Alde e il Movimento 5 Stelle (M5S) condividono i valori fondamentali di libertà, uguaglianza e trasparenza. Entrambi vediamo l’individuo come l’elemento centrale della società e al tempo stesso promuoviamo un’economia aperta, la solidarietà e la coesione sociale come presupposti per le persone a raggiungere il loro pieno potenziale”.
Così recitava la bozza di accordo che era stato siglato da Beppe Grillo e dal presidente di Alde Guy Verhofstadt in datata 4 gennaio, un accordo – appena respinto dal gruppo dei liberali europeisti – relativo al possibile ingresso del M5S nelle loro fila, un documento diviso in quattro punti che circolava già da giorni nei corridoi del Parlamento Europeo. La diffusione del suo contenuto era stata vista come l’ennesima beffa da una parte della base e degli stessi eletti del partito di Grillo, che si sono trovati a dover “ratificare” un accordo già fatto con un voto online assai poco partecipato (40.654 votanti sui 135mila, circa il 30% degli aventi diritto); una votazione che aveva tutto il sapore della farsa, con buona pace del sistema operativo Rousseau. Le trattative, secondo fonti del Parlamento Europeo, erano avvenute all’insaputa degli stessi eletti, come testimoniato da diversi post di europarlamentari come Marco Zanni – che ieri scriveva: «ho appreso la notizia con sorpresa e sconcerto» – e dalle capriole di Luigi Di Maio che sulla sua pagina Facebook ha cercato nelle ultime ore di tener buoni molti arrabbiati attivisti grillini spiegando che si può essere anti-europeisti anche entrando nel gruppo più europeista del Parlamento Ue (chissà come poi… Magari facendo finta di non leggere qualche mail sul Fiscal Compact?).
Una cosa è certa: quello tra Alde e M5S sarebbe stato un matrimonio di interesse che avrebbe creato non pochi imbarazzi in entrambe le famiglie, sia tra eletti ed elettori grillini (da sempre antieuropeisti) sia tra i liberali ultraeuropeisti, tra le cui fila – per citarne uno – milita un certo Mario Monti. Basti pensare che Verhofstadt era stato inserito nella gogna mediatica grillina nella lista degli “impresentabili da cacciare dal Parlamento europeo” e definito senza mezze misure “l’eurodeputato che colleziona poltrone”. Dal canto suo, il leader dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali d’Europa non era stato tenero con il Movimento 5 Stelle, definendo – con un post su Facebook datato 11 giugno 2014, rimosso nelle ultime ore – il partito del comicoleader genovese “incompatibile” con i valori del suo gruppo.
Così, dopo la svolta garantista del nuovo codice etico, che per molti è stato scritto su misura per arginare l’eventuale arrivo di un avviso di garanzia a Virginia Raggi, ecco la svolta “europeista”. Ma a cosa era dovuto questo reciproco cambio di rotta?
Per Verhofstadt l’annessione del M5S avrebbe rappresentato una ghiotta occasione per far crescere l’Alde, rendendolo il terzo gruppo politico dell’europarlamento e per rafforzare così la propria candidatura alla presidenza dell’Assemblea. In fondo è “l’eurodeputato che colleziona poltrone” (cit. !!11!!). I grillini, dal canto loro, restando fuori da ogni coalizione rischiano di perdere una buona parte dei «fondi 400» destinati ai parlamentari dei gruppi (una cifra che secondo le stime del Corriere della Sera si aggira intorno ai 680mila euro) e anche loro puntavano a una serie di postazioni nelle commissioni e nelle vicepresidenze che l’alleanza con l’UKIP di Farage (in smantellamento dopo la Brexit) non può più garantirgli.
Sarebbe stato, insomma, un matrimonio di convenienza, di quelli dove le famiglie non si sopportano e si salutano a mezza bocca parlandosi male alle spalle, di quelli dove non ci si stupisce quando la sposa, nel giorno più bello, viene pizzicata da uno dei 1200 invitati nella toilette del pacchiano ristorante insieme al testimone dello sposo. Un matrimonio che non si è fatto, perché in queste ore nel gruppo liberale sono emersi molti dissensi, soprattutto da parte dei parlamentari nordici, contrari all’ingresso di un partito populista e anti europeo nell’Alde. La più esplicita è stata la francese Sylvie Goulard (la prima ad annunciare il mancato accordo), che sul suo blog stamane attaccava: «Meglio 12 stelle che 5. Troppa la distanza sui contenuti e sulla visione dell’Unione europea, troppa l’ambiguità sull’euro e sul futuro dell’unione monetaria, troppo pericoloso alimentare la possibilità di organizzare un referendum consultivo in Italia sulla moneta unica». Sarebbe stato un matrimonio combinato, come quelli di una volta. Ma alla fine la sposa è scappata col testimone dello sposo…
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