Partiti e politici
Il voto della provincia italiana: Italia immobile, Meloni stabile
Il primo “errore” è considerare test significativo per gli umori nazionali il voto in due piccole e popolose regioni italiane. Sardegna e Abruzzo insieme non arrivano a tre milioni di abitanti, circa il 5% dei cittadini, ed evidentemente non basta a proiettare su una dimensione più ampia le elezioni che hanno dato la Sardegna al campo mediolargo guidato da Todde, mentre appena ieri hanno lasciato l’Abruzzo alla destra di Meloni & Marsilio, lasciando il campo larghissimo unito, da Renzi a Conte, all’opposizione cui siede, diviso, a Roma. Ovviamente questo errore lo fanno un po’ tutti: il rieletto Marsilio che dice che “ha fatto la storia”, nientemeno; e i nemici del campolargo che, da destra e da sinistra, incolpando chi Conte, chi Renzi, chi il cielo, dicono che non funziona. In realtà, le piccole fotografia di Sargedna e Abruzzo dicono, per quel che valgono, che poco o nulla è cambiato, nel complessivo umore degli italiani, da quando si è votato per le scorse elezioni politiche.
Della Sardegna si è già ampiamente scritto nelle settimane scorse. Ma a guardare da vicino i dati di una delle vittorie più risicate della storia politica italiana si sarebbe potuto anche dire, semplicemente, che in una regione nella quale la somma di PD e Cinque Stelle, alle elezioni politiche del 2022, sovrastava la destra di circa cinque punti, quella stessa somma, peraltro a sostegno di una buona candidata, era attesa anche a una vittoria più ampia. Si è così trascurato, travolto dalla mancata elezioni in consiglio regionale, del buon risultato del terzo polo di Soru, che ragionevolmente contribuito a rendere più stretta la vittoria di Todde. Poi ci sono, giustamente, le questioni locali: la non ricandidatura del presidente uscende del centro destra, le liste locali a marcata identità sarda. Tutti dati che contano, anche molto, ma non cambiano la fotografia generale.
La questione è ancora più evidente e vera per l’Abruzzo, dove l’assenza del voto disgiunto e l’ammucchiata anti-destra rendono la fotografia di facile lettura. Alle scorse elezioni politiche, la somma di Pd, Cinque Stelle e Terzo Polo, in Abruzzo, arrivava in Abruzzo attorno al 46% e restando comunque sotto di un punto e mezzo rispetto al risultato della destra di governo, già allora presentatasi unita. Questa volta, senza terzi candidati, e quindi in assenza di dispersione, la forbice si allarga a circa sei punti. È un allargamento un po’ più ampio di quello che ci si sarebbe potuto aspettare, sicuramente dovuto a fattori locali, ma resta del tutto coerente col quadro di un umore politico sostanzialmente costante. In Abruzzo la destra è maggioranza, in Sardegna no.
La faccio un po’ facile, lo so, ma credo che ogni tanto guardare ai fondamentali possa aiutarci a liberarci dalla dittatura del presentissimo, della dichiarazione, della polemica politica inutile, del chiacchiericcio. Dopo questo primo test elettorale, e in attesa delle Europee, è ragionevole immaginare alcune cose. Il centrodestra di Meloni resta con ogni probabilità maggioranza nel paese. La centralità della presidente del Consiglio in questo scenario è indubbia. L’unica possibilità per “gli altri” di insidiarla è quella di andare “tutti insieme”, ma il farlo non è certo garanzia di vittoria, oltre a porre l’antico problema di quanto reggerebbe, e con che scopi, quell’unità a partire dal giorno dopo. Ogni ipotesi di cambiamento di vento, in qualunque senso, è ampiamente prematura. Giorgia Meloni può dormire sonni relativamente tranquilli, e ad agitarli saranno semmai più gli alleati degli avversari. Perchè tutto fili lisci deve puntare a vincere le Europee, senza stravincerle. Un equilibrio non facile: un problema che, tuttavia, vorrebbero anche “gli altri”.
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