Partiti e politici

Il voto autarchico che parla al passato. Il futuro è altrove

25 Novembre 2014

Quelli che non hanno votato domenica rappresenatno un tema da approfondire, così come  quelli che hanno votato. Certo ha votato una minornza, e all’interno di quella minoranza, una minoranza ha chiesto un voto di protezione. Quel segmento di voto non è meno interessante degli altri. In politica le minoranze non sempre sono meno significative delle maggioranze, anche perchè, spesso, indicano uno stato d’animo diffuso.

Domenica il voto identitario si è presentato come una risorsa spendibile. Comunque capace di attrarre. Identità vuol dire: rinvigorimento del discorso nazionale contro il discorso europeo; attrazione per una politica economica protezionista.
“Io sono mio” è il suo slogan. A differenza del credo libertario e liberatorio proprio dei movimenti di emancipazione degli anni ’70, non è foriero di rottura dei vincoli, ma anzi di un processo di congelamento.

La visione protezionista non riguarda solo l’economia, ma anche – e coerentemente – la percezione dello spazio politico di propria competenza.
L’idea alla fine è che si produce salvezza se si definisce una politica di forte salvaguardia di sé.
E’ una visione che ha possibilità di successo politico.
Si può dire, egualmente, che sia una soluzione vincente o che comunque ci consentirà di uscire risanati e indenni dalla crisi?

Non credo, per due buoni motivi.
1) Una politica protezionista e una economia fortemente protetta possono essere se non una soluzione, certo una forte tentazione, per realtà economiche e industriali fortemente supportate da materie prime. In breve significa riduzione di importazioni, riduzione di consumi, ma anche capacità di autosorreggersi con le proprie risorse. E’ uno scenario che ha caratterizzato l’Italia dell’autarchia. In quel caso le risorse proprie si chiamavano surrogati.
Dubito seriamente che questo sia uno scenario percorribile.

2) La sfida di oggi si chiama sapere scientifico. Chiede risorse; capacità di attrazione di investimenti; sistemi di cooperazione, politiche di scambio. Tutto questo in assenza di economia in sviluppo come noi siamo, implica non chiudersi, ma riuscire a stare dentro un sistema. Pensare di salvarsi imbozzolandosi a casa propria, perché marginali o non centrali, pensando così di essere concorrenziali, aumenterà la nostra condizione di subalternità.

La filosofia di domani, come sempre, non è che questa: lo sviluppo genererà sviluppo. Non dipenderà solo dalle materie prime. Lo sviluppo avrà il suo nucleo strutturale nella tecnologia e nella rete di cooperazione che essa genererà. Se ne godrà se in una qualche forma parteciperemo. Diversamente guarderemo la partita dalla panchina. Chi saprà esprimere un gioco di scala starà nel girone alto dello sviluppo nel prossimo quindicennio. Magari da comprimario, ma godrà di una “partecipazione agli utili”. Gli altri seguiranno a distanza.

Conclusione: desiderare la protezione significa affermare che il futuro non ci riguarda.
Ci consoliamo andando a cercare una riscossa protezionistica, credendo così di uscire indenni dalla crisi. In realtà ne usciremo ancora più subalterni.

 

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