Partiti e politici
il vaso di coccio va alla guerra
Alle volte il potere dà alla testa: sembra questo il caso del neo ministro Salvini.
Catapultato dalle piazze dell’opposizione al palcoscenico del governo insieme a comprimari evidentemente impreparati, il leader della Lega ha deciso di diventare subito il protagonista e si è guardato intorno per scegliere, tra i vari autocrati, il proprio modello di riferimento. Impossibile imitare il populismo orientale di un Kim Jong Un, o l’algida egolatria di un Putin: l’Italia è pur sempre un regime democratico; la scelta non poteva quindi ricadere che sul presidente degli Stati Uniti Trump e il buon Matteo si è messo d’impegno per diventare the Donald de noantri.
In politica interna l’obiettivo di Salvini è consolidare il suo consenso, soprattutto in termini mediatici. Dato che la gente ormai vota con gli stessi criteri con i quali mette il like ai contenuti sponsorizzati sui social, non c’è nessun bisogno di ottenere risultati concreti utili, né di dimostrare coerenza nella propria azione di governo: si può benissimo mandare qualche centinaio di poveri cristi, tra cui donne e bambini, a sfidare per giorni il mare in burrasca pur di non permettere loro di sbarcare in un porto italiano, proprio mentre in un porto italiano si fanno sbarcare altri poveri cristi, ancor più numerosi; l’importante è raccontarla bene in un’intervista tv. Ciò che conta e che serve è lisciare il pelo al pubblico del momento con promesse su misura, disseminare i social di meme accattivanti, abbondare con le dirette Facebook e i tweet ad effetto, insomma: diventare un influencer più famoso della Ferragni. Ci sarebbe molto da discutere su questa modalità di conquista del consenso; ma è indiscutibile che sia Trump che Salvini la stiano praticando con notevole successo.
Anche in politica estera la strategia del ministro italiano è chiaramente mutuata da quella del Presidente americano e si può condensare in due parole: attaccare e spiazzare. In pochi giorni, con le sue esternazioni che invadono regolarmente il campo di competenza degli altri ministri, Salvini è riuscito a inquietare la Nato e l’Unione Europea e a creare incidenti diplomatici con la Tunisia e con Malta, senza esitare a ricorrere all’insulto gratuito per dare prova della propria sfrontata sicurezza. Il Presidente francese Macron, che non è nato ieri, ha subito capito il giochino e ha reso la pariglia, suscitando reazioni sdegnate al di qua delle Alpi; resta da vedere se altri leader europei vorranno partecipare alla sceneggiata delle schermaglie bambinesche, che sembrano fatte per gratificare il pubblico a casa più che per affermare una visione geopolitica coerente.
Costruirsi un’immagine interna di leader forte e determinato, dimostrare ai partner internazionali che si è pronti a tutto – anche a rompere i rapporti diplomatici o a incrinare alleanze storiche – pur di affermare il proprio interesse nazionale: sono queste le direttrici che guidano l’azione politica di Donald Trump e, per imitazione, del nostro aspirante premier (carica alla quale potrebbe giungere abbastanza rapidamente, vista l’insipienza dell’alleato pentastellato). Peccato però che, per mostrare i muscoli, bisognerebbe averli: il Presidente degli Stati Uniti sa di avere dietro di sé una solida potenza economica e militare in grado di fare la differenza a livello mondiale; l’Italia invece può al massimo aspirare al ruolo di mina vagante, che i vertici europei saranno portati prima o poi ad emarginare per renderla inoffensiva.
E’ giusto e importante coltivare l’autostima nazionale; ma bisognerebbe farlo senza mai perdere il senso della realtà. Altrimenti si rischia di finire, per dirla con il Manzoni, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro: e i cocci, come usa dire, saranno nostri…
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