Partiti e politici

Il terrore Pd è farlocco: che vinca la destra o il M5S la democrazia non finirà

9 Gennaio 2018

Per la prima volta nella storia patria, una legge purissimamente proporzionale farà vincere una coalizione simil-maggioritaria. È un inedito (capolavoro) che dobbiamo ascrivere all’ingegno del Partito Democratico che ora, resosi perfettamente conto del pateracchio, chiede, prega, ama, perché la gente di buona volontà non disperda il suo preziosissimo voto. Questa gente si divide in mille, piccoli, sentimenti, che vanno dall’odio per Renzi a una esibita indifferenza, che è forse anche peggio. Ci si dovrà forse intendere sull’odio per Renzi, e sul significato che vogliamo attribuire a un sostantivo così “importante” e definitivo. È abbastanza chiaro come il nostro protagonista sia interessato a sostenere la versione più inquieta, che, da dizionario, avvicina alla parola odio aggettivi come “bestiale, feroce, accanito, mortale, implacabile”. A noi, invece, piace credere alla versione più stemperata e “sportiva” di tutta la storia e, per paragonarne il senso, non troveremmo di meglio che evocare l’odio transnazionale per la Juventus F.C.. Che, appunto, rimane un odio sostanzialmente sportivo e dunque privo del male in quanto tale, ma certo pieno di ogni possibile avversione sentimentale. Si troveranno, quindi, a un bivio gli elettori più sensibili il 4 marzo, e volendo tenere il calcio ancora al centro dei nostri discorsi, il tutto si riassumerebbe in un dilemma non di poco peso: il giorno della finale di Champions League – mettiamo che sia ancora Juventus-Real – si tiferà comunque italiano (e dunque i diversamente simpatici gobbi), o l’odio sportivo accecherà qualunque frenesia tricolore tenendocene ben distanti? Così con Renzi: l’avversione per il tipo, la sua politica, quel destrismo neppure troppo velato, la spocchia, la provincialitudine spinta, sono elementi dirimenti rispetto alla molto concreta possibilità che destri di tutte le latitudini (che siano Di Maio o Salvini) possano prendere il potere?

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Ne discende una domanda-chiave, che investe in maniera decisa la nostra idea di democrazia: riteniamo che l’avvento possibile di una certa destra italiana, che non ha visione comune ma viaggia per istanze separate, alcune delle quali certamente inquietanti, sia un’ipotesi meritevole di una richiesta del tutto emergenziale come quella di votare un leader del Partito Democratico per nulla amato, semmai sportivamente detestato? C’è come la convinzione diffusa che questo prossimo giro di destra sia l’ultimo in termini di riconosciuti principi democratici e che poi nulla sarà più come prima, nulla sarà più democratico, nulla più riconducibile alla storia democratica dal nostro dopoguerra a oggi. Una narrazione estrema, molto efficace per instillare il germe della paura, ma sostanzialmente disonesta. Innanzitutto perché non riconosce l’avversario, e la sua relativa possibilità di mantenere le regole democratiche al proprio posto. Non riconoscere all’avversario la possibilità di essere identificato e apprezzato come democratico è uno sfregio alla nostra riconosciuta stabilità sociale. E tutto questo solo perché c’è odore di sconfitta. Così, il gioco è taroccato.

Chi non ha per il segretario del Partito Democratico un afflato naturale, in questi mesi che restano è chiamato a una scelta. Mantenere la sua sana avversione in duplice veste – votare Liberi e Uguali o astenersi – oppure decidere di gettare il cuore oltre le ortiche e immaginare un’adesione en travesti sotto forma di voto a Emma Bonino, ammesso che la medesima stringa un accordo formale con Renzi e attualmente così ancora non è. Ma Bonino è anche meta e obiettivo di un altro genere di elettore di sinistra, persino più pretenzioso e scassacazzi, colui che non voterebbe mai il color “can che fugge” – li chiamiamo così, affettuosamente, i poco definiti ragazzi di Pietro Grasso, ma nemmeno un Renzi in purezza. Insomma, il riformista che oggi si riconosce nel Calenda che c’è e contrasta Renzi su temi fondamentali e non demagogici e il sincero appassionato di diritti civili. Insomma, l’elettore che vota Bonino ma solo se Bonino va da sola.

Allo stato attuale, Renzi non può offrire al pubblico pagante neppure una striminzitissima alleanza di sinistra, considerando onestamente Nencini e Bonelli due figurine così stinte da aver perso ogni colorazione politica. Ci chiediamo se ne abbia anche modesta contezza. Non mostrare la minima partecipazione per le sorti di un “luogo” politico con quella storia è condizione che definiremmo inumana. In questo Matteo Renzi è veramente inumano. Lo è soprattutto perché, essendo numericamente più forte e più popolare, a lui tocca la fatica di “considerare” gli altri, di farli sentire importanti, di sedersi con loro, di mostrare interesse, di chiedersi se davvero tutto può essere ricompreso soltanto nella sua piccola storia di Rignano e dintorni. Riconquistare la stima, la considerazione, l’amore degli altri: è davvero un’impresa impossibile, Matteo?

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