Partiti e politici
Lasciate stare il web: la post-verità l’hanno inventata i totalitarismi del 900
I redattori di Oxford Dictionary hanno scelto di inserire a parola “Post-Truth” ovvero “post verità” come parola non solo accreditata, ma come parola dell’anno.
La cosa è meno bizzarra di quanto si potrebbe pensare e soprattutto ha molto a che fare con l’atmosfera culturale e politica che caratterizza il nostro presente.
Per William Thomas (1863-1947) sociologo americano, la nostra realtà si sintetizza così: “Se gli uomini definiscono come reali certe situazioni, esse sono reali nelle loro conseguenze”.
La prima parte del teorema è un’ennesima autorevole puntualizzazione del fatto che gli uomini non rispondono solo agli elementi oggettivi di una situazione, ma anche, ed a volte in primo luogo, al significato che questa situazione ha per loro. E una volta che essi hanno attribuito un qualunque significato ad una situazione, questo significato è la causa determinante del loro comportamento e di alcune conseguenze di questo. Ma tutto ciò è ancora piuttosto astratto e le astrazioni hanno la tendenza a diventare incomprensibili se non sono collegate a dati concreti.
Dunque qualcuno si convince che la realtà è ingannevole e che gli eventi che possono accadere sono la conseguenza di questo inganno. La conseguenza è che la risposta da mettere in campo deve fare in modo di neutralizzarli. La vittoria di Donald Trump è un esempio concreto.
Quel risultato è anche la conseguenza di questa convinzione. Ossia il fatto che il confronto elettorale in caso di vittoria dell’avversario era percepito come la dimostrazione non solo dell’inganno ma della fondatezza dell’inganno.
Vincere non era solo un dovere, ma la dimostrazione che la realtà dei fatti era più forte del supposto controllo che i “poteri forti” esercitano sui fatti. Per questo vincere non è stato rivendicato come un merito, ma è stata proposto come la dimostrazione che la realtà ha avuto ragione dell’inganno. Per questo quel risultato è assunto come “il riscatto dell’America reale contro il complotto”.
Non è un giudizio sulla politica che sarà in atto a partire dal prossimo 20 gennaio, né una lettura preconfezionata del nuovo scenario politico internazionale che sarà conseguente a quella politica o al tentativo di metterla in pratica. E’ un quadro di ciò che abbiamo di fronte oggi, della mentalità, ma anche della convinzione che caratterizza il nostro presente immediato e segnerà profondamente il tempo prossimo. Il dato interessante è la sua estensione geografica che oggi non è propria solo delle grandi autocrazie o delle dittature ma attraversa anche le democrazie consolidate.
Il suo principio è semplice: accettare come vere informazioni (politiche e non) senza alcuna base reale è una condizione mentale che ha suscitato attenzione. Qualcuno ha proposto un nome: Post-Verità.
Che cosa s’intende dunque con il termine “Post verità”? Soprattutto, che cosa s’intende per politica della post-verità?
Si tratta della tendenza della società contemporanea ad accettare come vere informazioni (politiche e non) senza alcuna base reale. La risposta non può essere la costruzione di un “tribunale della verità”, perché il codice culturale di quel presunto luogo di verità è lo stesso su cui nel corso del Novecento si sono costruiti i tribunali dei totalitarismi.
Non è una novità. Nella storia le verità affermate come vere, vissute come vere ma prive di fondamento, comunque smontabili nella loro menzogna, nonostante le molte “verità di fatto” che quei tribunali hanno presentato ai loro “indagati” hanno avuto molto successo in passato. Smontarle, in altre parole nell’ordine: decostruirle, dimostrarne l’infondatezza, e dunque uscire dal campo magnetico della loro forza di persuasione e di convinzione, non è stato facile e ha richiesto molte energie e molte competenze. Tutti dossier che sulla base di prove non provate, ma “persuasive” hanno costruito “nemici del popolo” nel corso del Novecento hanno avuto come effetto gli stermini di massa. Nonostante la loro falsità hanno avuto molto successo nel XX secolo. Il fondamento su cui si sostenevano, e continuano a sostenersi, è la logica complottistica.
Ebbene quelle convinzioni che spesso hanno dato luogo ad azioni, appartengono al campo semantico della “post-verità”.
Dunque quando parliamo di politica della post-verità non parliamo di opinioni che si smontano con opinioni, parliamo di opinioni che nella storia, anche molto recente, hanno prodotto fatti. E che poi hanno richiesto, per replicare ai “fatti” che quelle opinioni fossero discusse in forza di dimostrazioni che, tuttavia, la loro accettazione non aveva assolutamente richiesto.
Il sistema mediatico della pseudo controcultura ai tempi del web segue un meccanismo molto simile alla logica complottistica.
Non chiede dimostrazioni per affermare la sua versione di verità. Chiede di essere creduto solo in relazione al suo autocertificarsi come “antisistema” o come “controverità” e dunque come certamente vero, in forza del suo status e non delle sue argomentazioni “falsificabili” direbbe Karl Popper.
Nel suo presentarsi come verità ha due caratteristiche:
- da una parte una volta qualificato il potere come inautentico, dunque come menzognero, nel momento in cui vi si contrappone è di per sé “la verità” (in gran parte è il modello della retorica comunicativa di Donald Trump);
- dall’altra la sua forza sta non nel proporre una cassetta di strumenti in cui ciascuno in autonomia possa servirsi per intraprendere percorsi di indagine critica, ma il suo scopo è sollecitare il consenso.
L’unità di misura sulla sua presunta verità sulla quantità di “like”. Per ottenerli la strada maestra è raccogliere il “malcontento” o la credulità. E’ come il pianto: si piange per emozione. A differenza del pianto, il riso è una conseguenza della riflessione. Per ridere bisogna capire, per piangere è sufficiente “sentire”.
Chi costruisce convinzione politica e dunque consenso in forza di un clic non chiede presenza. Gli è sufficiente ricevere consenso Non ha nel suo progetto una maggiore autonomia critica degli individui o dotare gli individui di una propria competenza. Chiede adesione alla sua mobilitazione. Di solito è il modello di costruzione dei modelli politici totalitari. Indipendentemente dal tasso di consenso che ricevono. In ogni caso il consenso non è di per sé garanzia di vero.
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