Partiti e politici
il suicidio della politica
Le elezioni del 4 marzo hanno registrato una buona affluenza (ben sopra il 70%) e alcuni risultati piuttosto netti: il crollo del Pd, principale partito di governo nella legislatura appena conclusa; l’affermarsi di due diverse forze di opposizione – il M5S al centro-sud e la coalizione di centrodestra (FI-Lega-FdI) al nord; nell’ambito di quest’ultima, il sorpasso del partito di Salvini su quello di Berlusconi, che ha sancito il ruolo di leader del leghista; infine, la (quasi) scomparsa della sinistra dal Parlamento.
Il voto degli italiani ha dunque espresso una richiesta inequivocabile di cambiamento e di svolta politica “verso destra”: ecco perché una coalizione formata da centrodestra e Cinque Stelle è apparsa immediatamente la soluzione più ovvia e su di essa si è impostata la ripartizione delle cariche istituzionali nel Parlamento appena insediato.
Eppure, dopo quasi due mesi di consultazioni, una maggioranza ancora non c’è: la situazione è bloccata dall’inconcludenza delle principali forze politiche.
Il Movimento Cinque Stelle, dopo avere fatto il pieno di poltrone istituzionali in accordo con il centrodestra, si è arroccato sul veto contro Berlusconi e sulla pretesa di avere Di Maio premier, per far fallire la trattativa con i potenziali alleati; si è poi rivolto al Partito Democratico con analoga arroganza, sapendo perfettamente che una proposta in questi termini avrebbe spaccato il Pd e reso impossibile qualsiasi collaborazione. I pentastellati sembrano insomma voler dividere il proprio interlocutore, più che creare alleanze utili a governare.
Il centrodestra è paralizzato dalla lotta, tutta interna, tra Salvini e Berlusconi per l’egemonia: l’anziano leader di Forza Italia vuole resistere al tentativo di “scalata” del leghista rampante; costui punta a sottrargli elettori, quadri amministrativi e parlamentari e per questo non si decide a rompere l’ipocrita e traballante alleanza, rinunciando così a “stanare” il M5S.
Da parte sua, il Partito Democratico ha reagito alla batosta delle urne ritirandosi offeso sull’Aventino dell’opposizione; poi, dopo il fallimento della trattativa tra le due forze “vincitrici” delle elezioni, ha risposto alla chiamata in causa da parte di Mattarella (mediante l’incarico esplorativo “mirato” affidato al Presidente della Camera) scindendosi tra oltranzisti renziani e minoranza dialogante: una divisione che ha già reso impraticabile la strada di una maggioranza alternativa e prolungherà lo stallo.
A questo punto, agli allibiti elettori italiani si prospettano altre consultazioni, che verosimilmente si concluderanno o con la formazione di un debolissimo “governo balneare” – chiamato, guarda caso, a riscrivere per l’ennesima volta la legge elettorale – o con lo scioglimento delle Camere. In entrambi i casi, dopo una così lunga e snervante attesa essi avranno la prova provata che il loro voto è stato del tutto inutile: non ci sarebbe da stupirsi se, alle elezioni successive, reagissero disertando le urne in massa, oppure esprimendo un voto di protesta ancor più rabbioso a vantaggio di formazioni politiche “estreme”.
Il risultato più probabile dei tatticismi di questi due mesi sarà quindi una drammatica perdita di consenso per tutti i partiti coinvolti: eppure i vari leader non sembrano rendersene conto, anzi paiono convinti di poter accrescere il proprio appeal elettorale giovandosi della debolezza altrui. I Cinque Stelle investono sulla propria purezza incontaminata; Salvini punta a cannibalizzare gli alleati; il Partito Democratico aspetta sulla riva del fiume di veder passare i cadaveri politici dei rivali; nessuno pare sfiorato dalla consapevolezza dell’urgenza di dare un governo al Paese, né dell’esasperazione che si diffonde tra gli elettori.
L’aspetto in realtà più preoccupante è che al nervosismo degli italiani non fa eco quello dei mercati finanziari che, di fronte ai ripetuti fallimenti delle consultazioni, non hanno fatto un plissé, anzi sembrano apprezzare la situazione. Questa serenità, lungi dal rassicurarci, dovrebbe allarmarci perché è la dimostrazione di quanto poco conti l’esecutivo del nostro Paese: che ci sia o non ci sia, che sia di un colore politico o dell’altro, non fa nessuna differenza per i grandi investitori internazionali – e, duole dirlo, per i nostri partner europei, che paiono più disinteressati che rispettosi della nostra democrazia interna.
Un sistema politico che si rende irrilevante sul piano internazionale e che attua la sistematica frustrazione delle speranze degli elettori sul fronte interno è chiaramente vocato all’auto-eliminazione. Che cosa potrà arrivare dopo, possiamo purtroppo immaginarlo da tanti segnali piuttosto chiari; che balzano all’occhio di chiunque non sia intento, come i nostri ineffabili leaders politici, a rimirarsi l’ombelico.
(immagine Alpha Stock Images di Nick Youngson)
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