Partiti e politici
Il senso di D’Alema per lo spread
Nella giornata di ieri, ha conosciuto una certa circolazione questo video in cui Massimo D’Alema spiega la sua versione della crisi greca, spiegazione che ha raccolto un notevole numero di condivisioni, nonché centinaia di commenti piuttosto eccitati, la maggior parte dei quali di questo tenore,
Ovvero, il cattivo per antonomasia, per molte ragioni, ma un cattivo di cui si finisce per avere in qualche modo nostalgia, perché è impossibile, seppur a denti stretti, non riconoscerne la preparazione e l’intelligenza: “Ineccepibile! Antipatico quanto basta, ma lucido ed efficace come pochi sanno essere” – “E’ un maledetto, ma oggi alla sinistra italiana manca un personaggio così”.
Allora, la domanda è semplice: davvero questo intervento dimostra la levatura intellettuale del personaggio e la sua non comune padronanza degli argomenti? La risposta è un abbastanza fragoroso no. Nei 2 minuti a disposizione (qui la versione completa) non c’è praticamente nulla di ciò che egli dice che non risulti fattualmente inaccurato quando non direttamente fuorviante.
Vediamo perché.
D’Alema comincia col dire che le banche tedesche raccoglierebbero denaro a tassi molto bassi o persino negativi per poi prestarlo alla Grecia (“comprano i titoli della Grecia”) che, essendo un paese in difficoltà, “prende a prestito al 15%”. In tal modo, lucrando su un enorme differenziale di rendimento, gli istituti di credito teutonici farebbero copiosi profitti, aggravando le difficoltà di Atene.
Ora, non è chiaro che cosa qui abbia in mente: il tempo del verbo che utilizza è il presente e, in effetti, il fenomeno dei tassi di interesse molto molto bassi in Germania cui fa riferimento è recente (gli scorsi 8/10 mesi – per avere una pietra di paragone: a maggio del 2010 il decennale tedesco rendeva circa il 3%, oggi è abbondantemente inferiore all’1%), ma non c’è nessun titolo greco da comprare al 15% per fare enormi profitti e conculcare i poveri greci, per la semplice ragione che la Grecia è fuori dal mercato (se non per il normale roll-over di T-bill a breve scadenza). L’intero punto del salvataggio è stato proprio quello di sopperire alla perdita di accesso al mercato dei capitali. Infatti, come noto, lungi dal prendere a prestito al 15%, la Grecia ha adesso un costo del servizio del debito molto contenuto,
Che le cose stiano così lo dimostrano anche i dati sui detentori del debito pubblico ellenico,
dove i privati, tra cui le banche, come si vede, giocano un ruolo oramai residuale.
Da notare, inoltre, che i 10.6 miliardi facenti capo alle banche tedesche (dati BIS), includono l’intera esposizione al paese, non soltanto quella verso lo Stato. Le banche tedesche più grandi, come Commerzbank e Deutsche Bank avevano un’esposizione totale verso la Grecia rispettivamente di 400 e 298 milioni al settembre 2014. In altre parole, poco o nulla.
Di passaggio, questa non è necessariamente una cosa positiva: in fondo la nostra dovrebbe essere un’unione economica e monetaria, dove i capitali si muovono ed attraversano i confini. Il fatto che tendano, invece, a ritrarsi all’interno dei rispettivi recinti nazionali, dando luogo al noto fenomeno della “frammentazione”, se da una parte riduce il cosiddetto rischio sistemico, dall’altra indica una palese disfunzionalità.
Non senza uno sforzo di fantasia, però, possiamo provare ad andare oltre questa prima dose di imprecisioni, per capire se, in realtà, egli non volesse dire altro. E probabilmente è così: “quando il paese povero non è più in grado di pagare i debiti arrivano gli aiuti europei”. Si parla chiaramente del bailout del 2010 e puntate successive; dunque, dal presente di “tassi tedeschi negativi” ci trasferiamo improvvisamente agli anni che hanno preceduto quel bailout, nei quali le banche tedesche, ricordiamolo, a giudizio di D’Alema avrebbero accumulato “montagne di soldi” prestando alla Grecia al 15%.
Ora, non c’è dubbio che in quel periodo – seguente all’introduzione della moneta unica – abbia avuto luogo un crescente flusso di risorse da nord verso sud (non solo verso la Grecia, lo sappiamo, ma verso i settori privati di Spagna e Portogallo), ma per la ragione esattamente opposta a quella che dice lui. L’adozione dell’euro ed il (presunto) processo di convergenza portò ad una drastica riduzione dei rendimenti per i paesi periferici,
e ad una compressione degli spread con la Germania senza precedenti,
Mai nella sua travagliata storia la Grecia aveva avuto un costo del debito così simile a quello tedesco (e certo esso non ero nemmeno lontanamente vicino al 15%). Ma quello è stato proprio il problema! L’illusione che paesi così diversi stessero davvero convergendo e l’abbondante liquidità sui mercati internazionali, unitamente alla rimozione del rischio di cambio, hanno a lungo abbassato artificialmente lo spread, permettendo loro un sovra-indebitamento.
Infine, nell’ultima parte del video, l’ex Presidente del Consiglio sostiene che dei 250 miliardi di salvataggio alla Grecia “220 miliardi sono andati alle banche tedesche, francesi…”. Non solo ciò che dice ignora completamente la massiccia ristrutturazione del debito del 2012 e la contestuale riduzione di Net Present Value, ma, nella meticolosa ricostruzione dei flussi in entrata ed uscita dalla Grecia durante gli anni del bailout che hanno fatto Kenneth Rogoff e Jeremy Bulow, le cifre che menziona non trovano riscontro.
Che dire, dunque? Boh.
Tralasciando altre implicazioni (qualcuno potrebbe, ad esempio, chiedersi, “se tu mi presti i soldi al 15% per comprare una Mercedes ed io, dopo un po’, decido di non ripagare il debito, ma mi tengo la Mercedes, mi sono impoverito io oppure tu che mi hai fatto il prestito?” o, ancora, “come è possibile che D’Alema, mentre descrive i prestiti di A a B, non si chieda mai neppure per un secondo cosa ci fa B con quei soldi? ché il mondo è pieno di flussi da paesi dove i costi di finanziamento sono più bassi a paesi dove sono assai più alti – pensiamo ad un prestito di una banca americana in Messico -, ciò ovviamente non implica in alcun modo che eo ipso il debitore si debba impoverire!), se l’intenzione era quella di criticare, cosa del tutto legittima e per certi versi condivisibile, la struttura del salvataggio approntato da Unione Europea e Fondo Monetario, difficile pensare ad un modo più impreciso e confuso di farlo.
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