Partiti e politici
Il riformismo bruciato e senza casa
Tutto è bruciato, fagocitato da una politica che non è più tale.
La svolta della Bolognina di Achille Occhetto, l’Ulivo di Romano Prodi, il manifesto del Lingotto di Walter Veltroni, il riformismo di Massimo D’Alema, molto tempo prima l’anelito delle riforme pervadeva anche la proposta politica della migliore sinistra democristiana di Martinazzoli e De Mita e del socialismo di Craxi, che si batteva per istituzioni rinnovate.
Oggi i riformisti sono isolati, non sanno per chi votare.
Sono quelli che in campo economico si ispirano a Federico Caffè, quelli che hanno letto le opere di Norberto Bobbio, quelli che si preoccupano di garantire i diritti delle minoranze, quelli che, se devono proporre una riforma istituzionale o costituzionale, cercano di non adoperare l’ascia e coinvolgono tutti, perché le regole sono di tutti e non di una parte.
I riformisti sono quelli che vogliono mantenere il welfare state, che si adoperano per realizzare il manifesto costituzionale contenuto nell’art. 3 della Costituzione, perché solo l’eguaglianza ci può salvare, come ha titolato recentemente la rivista Micromega.
Sono quelli che invocano un’attuazione dei principi costituzionali, perché credono profondamente ai valori programmatici che la Carta propone, anche se sono passati 70 anni.
La Costituzione, infatti, è il miglior compromesso della cultura del socialismo e comunismo europeo, con il cattolicesimo liberale e sociale.
I riformisti sono quelli che in gioventù hanno letto Labriola, Croce, Gramsci, Moro, Lazzati, Altiero Spinelli. Hanno conservato gelosamente le interviste di Berlinguer che diceva del comunismo sovietico che aveva perso la spinta propulsiva e cercava una terza via europeista, tra la protervia americana e la dittatura dei russi.
Hanno creduto alla riforma dei grandi partiti popolari, la Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista.
Si sono appassionati alla cultura del dubbio, dell’incertezza, perché non hanno mai posseduto una verità, sempre posta in discussione.
Sono quelli che leggevano Mondo Operaio di Luciano Pellicani, compravano Repubblica di Scalfari ed il Corriere della Sera di Alberto Cavallari.
Erano affascinati dalla penna di Indro Montanelli, Enzo Bettiza, Alberto Ronchey, l’Unita’ di Fortebraccio, dalla cultura di Ugo La Malfa, di Leo Valiani e del partito di Azione di Calamandrei e del Mondo di Mario Pannunzio.
Sostenevano le battaglie radicali di Pannella e Bonino.
Studiavano Renzo De Felice e Rosario Romeo.
Sono quelli che credono ad un’economia che non può garantire i più forti e perciò si ispirano al giovane Marx, ai contenuti di Thomas Piketty e Joseph Stiglitz e si battono per una globalizzazione a misura d’uomo.
Sono quelli che vogliono una banca al servizio dell’impresa, che realizzi lo statuto dell’imprenditore che possa creare beni e servizi per tutti, come quella di Mattioli, Carli, Ciampi, Andreatta.
Sono quelli che hanno apprezzato Gino Giugni, ma hanno creduto anche a D’Antona, Tarantelli, Biagi, all’eroe borghese Giorgio Ambrosoli.
Sono quelli che hanno condiviso le battaglie dei grandi sindacalisti Di Vittorio, Pastore, Lama, Carniti e hanno sposato le rivendicazioni degli operai, che volevano l’affermazione sacrosanta dei loro diritti nella co-gestione aziendale.
Sono quelli affascinati dall’eresia del Manifesto di Pintor, della Rossanda, di Lucio Magri, di Parlato.
Sono quelli che hanno visto di buon occhio anche il tentativo della Rivoluzione liberale nella Destra propugnata da Vertone, Marcello Pera, Coletti, Giuliano Ferrara, Brunetta, Giuliano Urbani.
Quelli che hanno dialogato anche con Bossi e Gianfranco Miglio, per capire le rivendicazioni delle autonomie regionali e del federalismo.
Che hanno tirato fuori dall’isolamento la destra fascista, sdoganando il giovane Fini e leggendo Fisichella, che inventò Alleanza Nazionale.
Quelli che nel mondo del diritto e della giustizia sono stati affascinati da Guido Rossi, Natalino Irti, Gustavo Zagrebelsky con il diritto mite e sostengono il principio della non colpevolezza sino al giudicato: il processo si fonda sulle prove, non sui sospetti, come tutti i giorni sostiene Ferrara sul suo “Foglio”.
Quelli che con Roberto Ruffilli e Bachelet volevano restituire, in un assetto istituzionale rinnovato, lo scettro al principe elettore.
Oggi l’offerta politica ha bruciato tutto: comunque sia questa cultura, anche con le sue declinazioni drammatiche sfociate nel terrorismo delle Brigate Rosse, nella corruzione di Tangentopoli e della loggia massonica P2, è tramontata.
La sinistra riformista, come ha scritto Ezio Mauro nell’articolo “Gli orti impauriti della Sinistra” pubblicato su Repubblica del 3 gennaio 2018, non è stata capace di elaborare una teoria per uscire dalla crisi di un’economia indebolita che ha dimenticato, nella globalizzazione, anche i diritti fondamentali dei lavoratori.
Con il vuoto della cultura manca un’anima e senza un’anima ci si batte contro l’egemonia politica altrui.
Il concetto di sinistra riformista è deperito ed è incapace di ricomporre un mondo pieno di fratture sia sul piano culturale che sociale ed economico.
Siamo lontani da una Bad Godesbsrg ed abbiamo di fronte solo l’offerta dei populisti.
Il Partito Democratico ha subito una mutazione genetica con il Rottamatore: non ci può rappresentare.
Questa inquietudine merita una risposta, perché gli elettori riformisti abbiano una casa.
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