Partiti e politici

Il referendum in Lombardia e le antenne populiste del Signor B.

19 Ottobre 2017

Senza le antenne populiste di Silvio Berlusconi non sapremmo in che punto esatto della Storia ci troviamo. Il volto infardato, il cuoio capelluto sostituito da una lunga serie di tentativi d’imitazione e le labbra che proferiscono sempre la frase che fa impazzire la curva sono inconfondibili, e per una qualche ragione di ordine psicologico persino immutabili. Da Silvio Berlusconi, insomma, si sa sempre cosa ci si deve aspettare: che faccia il comodo suo, che cerchi di abbindolare con il minor sforzo possibile quante più persone possibile e, se necessario, che si rimangi pure ciò che ha affermato il giorno prima: è una sicurezza da non sottovalutare, di questi tempi.

Ieri Berlusconi è ricomparso accanto a un altro personaggio incrollabile, il sorridente Roberto Maroni, Governatore della regione più produttiva d’Italia (non che ne abbia qualche merito, sia detto per inciso), per certificare una sensazione che ormai era nell’aria: le grandi braccia del populismo hanno cinto l’efficace propaganda indipendentista anche da noi. Si tratta di una specie di pillola del giorno dopo: abbiamo fatto entrare troppi immigrati? Spendiamo soldi per aiutare le regioni più povere? Non abbiamo competenze che gestiremmo alla perfezione, se non le lasciassimo a quegl’inetti dello Stato centrale? E poi abbiamo un dialetto, una lingua, un film, insomma qualcosa di culturale che travalichi l’attualità per dare una parvenza di giustificazione al nostro vezzo solipsistico? Bene, signori, noi ci separiamo, ce ne andiamo. Addio, mondo crudele.

Fino a quando erano quei quattro sbarbati della Lega Nord a sostenerlo era facile dire Ma che sciocchezze sono? Adesso però ci sono messi l’Inghilterra, gli Stati Uniti e perfino i vicini di casa della Catalogna, che in queste settimane si stanno ficcando in un imbuto secessionista che gli ha fatto perdere, a tempo di record, 800 imprese sparse sul territorio. Ma in fondo che cosa importa, se le conseguenze sono catastrofiche? L’idea funziona, no? E allora, cosa sono queste facce lunghe? Coraggio, ragazzi, ognuno per conto suo.

L’opportunismo, però, ha dei limiti, e per valicarli serve il genio, la capacità innata di sfruttare una situazione favorevole ma non solo, renderla sistemica, normale, sacrosanta, ecco il punto. Pier Silvio Berlusconi, puntuale all’incontro con l’attuale congiuntura internazionale, afferma serafico in conferenza stampa che tutte le regioni d’Italia dovrebbero celebrare un referendum per l’autonomia: 21 volte la stessa musica. Ciascuna spenderebbe 2.500.000 nell’acquisto dei tablet per il voto elettronico? Non si sa, e poi il punto è un altro: cos’è l’Italia, se non un’accozzaglia di regioni storicamente divise e potenzialmente indipendenti? Nulla.

L’isolazionismo, il sovranismo, sono ormai entrati nel dibattito mainstream di chi vuole proporre soluzioni magiche ma si trova drammaticamente a corto d’idee. Le loro litanie si sentono a leghe di distanza, e verrebbe quasi da pensare che il politically correct, quest’invenzione che ci ha fatto un danno incalcolabile, consista ormai nel dare la colpa agli altri.

Attenzione però, non tutti hanno il coraggio di rinsavire, come Alexis Tsipras, che dopo aver affermato ai quattro venti che la Grecia sarebbe uscita dall’euro, adesso raccoglie i frutti di una più ponderata politica di contenimento dei danni, alcuni finiscono per crederci davvero. Guardate l’Inghilterra, che non ha ancora avuto il coraggio di ammettere quanto gli costerà la Brexit, in sterline o in euro, scelgano loro, e guardate la Catalogna, che da terra ricca si sta trasformando in un dormitorio. I lavoratori continuano, almeno per adesso, a svolgere le loro mansioni a Barcellona, ma per imprese che hanno spostato la sede sociale a una regione un pò meno mainstream, una di quelle che crede ancora, con la tipica umiltà degli sfigati, che uno Stato non è una cena tra amici, dove si può dire (quasi) tutto quel che ci pare.

Berlusconi lo fa con il mestiere acquisito e con la naturale leggerezza con cui è nato, e non si accontenta certo di figurare come l’ultimo arrivato, si erige a capo, come sempre, dei modaioli. Se quindici anni fa erano le tre i nelle scuole, adesso è l’autonomia regionale. Quant’era bello quando eravamo incoscienti e credevamo ancora che le mode non dettassero altro che il modello di scarpa da indossare, e non, invece, l’intero armamentario d’idee che circolano nella sfera pubblica.

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