Partiti e politici
Il referendum è finito da un anno: voi volete vendetta, noi non vogliamo votare
Sì, lo sappiamo, l’anniversario del referendum costituzionale di un anno fa è ormai passato e tornarci a celebrazione finita suona due volte inattuale.
Eppure.
Eppure, assistere allo stanco dibattito social e a quello politico più “alto” che celebravano il 4 dicembre di un anno fa è stato a suo modo molto istruttivo. La quantità di rancore e voglia di vendetta che è tornata a galleggiare nell’aria, con la scusa di un anniversario, è sorprendente solo per chi non guardi da vicino questo tempo politico, caratterizzato in maniera prepotente dall’assenza di criteri politici e al contempo dalla preponderanza di sentimenti prepolitici, o post-politici, e in definitiva antipolitici: anche se vengono da chi dichiara di non vergognarsi di appartenere a un vero e proprio partito.
Il discorso è presto fatto, nei suoi tratti essenziali. Il nucleo integralista renziano del Pd, l’unico spazio politico che vive davvero quel 4 dicembre 2016 come fosse la data di un lutto nazionale e l’inizio di una serie di catastrofi, ha raccontato l’anniversario come se fosse la data della fine di ogni speranza e la strada sbarrata per ogni futuro. In una tragicomica combinazione tra vecchie bugie cui si era creduto troppo forte e un po’ di timidi segnali di speranza che non si possono tacere del tutto, lo storytelling di questo tempo è stretto in una morsa soffocante. A romperlo, suonando la carica, sono i toni epici del segretario del Pd Matteo Renzi che sul suo profilo facebook scrive parole sobrie:
“Voglio però rivolgermi ai milioni che hanno vissuto quella battaglia. A chi quella notte ha pianto. A chi ci ha creduto fino alla fine. A chi in questo anno si è fatto compagno di strada. Vorrei dirvi guardandovi negli occhi: è stato un onore lottare insieme a voi, amici. Il vero privilegio che ho avuto è stato essere al vostro fianco”
Il comandante chiama ancora a raccolta le “sue” truppe, un “popolo del sì” che non esisteva allora e men che mai esiste oggi, ma l’autocritica non è il piatto forte della casa. Infatti, la chiamata si conclude con una constatazione laconica del fatto che l’economia oggi va meglio rispetto a quattro anni fa. Che è vero, ma questa verità conferma come bugiarda tutta la propaganda governativa e filogovernativa di un anno fa che voleva una vittoria del no al referendum come pietra tombale di ogni ripresa economica. Erano balle, fake news, chiamatele come volete, ma questo erano e restano. Come lo era la promessa di lasciare la politica in caso di sconfitta; come lo era la promessa di querelare Ferruccio De Bortoli da parte di Maria Elena Boschi, che oggi si è accontentata di annunciare invece una causa civile.
Naturalmente, non suonano veritiere le parole e le promesse di chi, in contrapposizione al percorso del Pd renzianissimo di questi tempi, proprio in questi giorni annuncia una nuova formazione a sinistra del pd e in aperta contrapposizione di questo Pd, guidata dal presidente del Senato ed ex magistrato antimafia Pietro Grasso. Non è credibile che questa nuova cosa, o cosina, di sinistra, si racconti come rappresentante di autentiche istanze laburiste e di sinistra quando è evidente che le politiche sono ampiamente secondarie rispetto ai politici, sia quelli che guidano la nuova forza sia quelli ai quali essa si contrappone. È credibile e legittimo, invece, che un pezzo di ceto politico della sinistra italiana, ormai marginalizzato in un partito personale come quello di Renzi, abbia deciso un’operazione che garantisca a sè la sopravvivenza parlamentare. Altrettanto ovvio è che anche chi era rimasto fuori all’ultimo giro rientri, in forze, in modo che al vecchio ceto politico da rottamare si contrapponga plasticamente un nuovo ceto che ha già dimostrato di essere solo più giovane, che notoriamente non è una qualità.
Se quel giorno noi elettori progressisti andremo al mare, in montagna alle terme o in cantina, pur di non venire a votarvi, ecco, vedete almeno di evitarci il predicozzo e la morale.
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