Partiti e politici

il referendum dei pifferi

9 Ottobre 2017

Tra due settimane gli elettori del Veneto e della Lombardia saranno chiamati alle urne per esprimersi sul seguente quesito referendario:

“Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”

Si tratta di un referendum consultivo, con il quale le due giunte regionali chiedono ai loro cittadini il consenso per trattare con lo Stato al fine di ottenere forme e condizioni particolari di autonomia, che non sono specificate nel quesito proposto (e neppure, stranamente, nella propaganda che sta infestando le città lombarde come la mia).

La genericità del quesito e la scarsa efficacia dell’iniziativa (che, in caso di successo, darà solo l’avvio a una lunga trattativa tra le Regioni e lo Stato, dall’esito non scontato) fanno sì che il “Referendum per l’Autonomia” sia una sorta di costosissimo sondaggio di opinione, del tutto inutile per i cittadini – ma assai fruttuoso per chi lo ha promosso.

Innanzitutto, la propaganda referendaria è un gigantesco spot elettorale a favore dei due governatori leghisti, a pochi mesi dai futuri cimenti che li avranno come protagonisti (le regionali lombarde per Maroni, le elezioni politiche per Zaia); inoltre, le urne autonomiste rappresentano una prova di forza della Lega “ortodossa” – quella fedele all’impostazione “secessionista” delle origini – nei confronti del Segretario Salvini e della sua linea sovranista e nazionalista. Infine, il rispolvero della retorica dell’orgoglio nordico può facilitare il dialogo con Forza Italia grazie alla disponibilità del Presidente forzista della Liguria, Toti.

Tutto ciò però può funzionare solo nel caso di un’affluenza consistente: se gli elettori disertassero la consultazione, il Referendum per l’Autonomia si trasformerebbe in un colossale boomerang. In tal caso Zaia e soprattutto Maroni (che per primo ci ha “messo la faccia” e si è anche complicato la vita con l’incomprensibile scelta del “voto elettronico”) allungherebbero la lista dei leader sconfitti in un plebiscito da loro stessi convocato, come è capitato di recente a Cameron e a Renzi: dopo Brexit e #bastaunsì, quello autonomista sarebbe un nuovo referendum dei pifferi (quelli di montagna, s’intende).

In caso di flop, Maroni avrebbe però il mezzo gaudio di condividere la batosta con i suoi competitori: infatti si sono schierati per il sì tanto il Movimento Cinque Stelle che buona parte del Partito Democratico lombardo, capeggiato dal candidato Presidente Giorgio Gori; nessuno di loro potrà quindi rinfacciare a Maroni il fallimento e lo spreco (considerevole) di denaro pubblico in campagna elettorale (occorrerebbe qui aprire una lunga parentesi sul suicidio politico di Gori; mi limito ad ascriverlo all’autolesionistica strategia mimetica del Pd renziano).

E’ difficile dire come andrà a finire, soprattutto per via del “dualismo” tra città e provincia: lo abbiamo visto alle scorse elezioni regionali, quando Ambrosoli (Pd) prevalse nel voto “urbano” ma Maroni si affermò prepotentemente nel “contado”, con un risultato finale vicino alla parità. Anche gli eventi internazionali (il drammatico caso catalano) potrebbero influire in modo imprevedibile; l’unico sondaggio disponibile non dà indicazioni chiare sulla possibile affluenza. Forse, alla fine a prevalere sarà la stanchezza dei cittadini comuni per l’ennesimo voto che non riguarda le loro vite; allora, davveo coloro che vennero per suonare potrebbero finire suonati

(immagine dal sito della Regione Lombardia)

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