Partiti e politici
Il problema di un governo Pd-5Stelle è che sarebbe estrema minoranza nel paese
Ci sono giorni in cui anche due litiganti acerrimi, separati fra loro da tutto e su posizioni lontanissime, riescono ad avere torto entrambi. È il caso, di questi giorni, che vede contrapposti Massimo D’Alema e Matteo Renzi e, più in generale, quanto nel campo del centrosinistra si dividono tra chi vorrebbe provare a parlare coi 5 stelle e quanti invece non ci prenderebbero neanche un caffè. Il tema sullo sfondo è la futura (non imminente, secondo me, e sempre imminentissima, da circa un anno, secondo altri) crisi del governo giallo verde, cui l’ultima spallata arriverebbe dai veleni del russiagate.
Se la crisi si aprisse, ci sarebbero nuovi scenari. La strada maestra delle elezioni, certo, ma anche – più pribabilmente – quell’inerzia/pigrizia che porta molto spesso le legislature a continuare, i parlamenti a ridisegnarsi e ricomporsi in maggioranze e minoranze, attorno a nuove idee, nuove facce, nuove storie di governo.
Se ne intendono i vecchi politici, di queste manovre di Palazzo, e anche quando sono fuori dal Palazzo l’aria la fiutano per tempo. A portarsi avanti, come ai bei vecchi tempi, è stato stamane Massimo D’Alema che, intervistato da Goffredo De Marchis su Repubblica, ha enfatizzato il ruolo di complemento svolto dalla truppa europarlamentare del Movimento 5 Stelle al fianco dei Popolari – e compensando addirittura la defezione dei socialdemocratici tedeschi, che con i popolari continuano invece a governare in Germania – nell’elezione della nuova presidente della Commissione Ue Van der Leyden. Lo trova molto significativo, spiega nell’intervista, come atto di autonomia dalla Lega. Il Pd a questo punto dovrebbe cogliere il segnale, e lavorare a un futuro cambio di schema: quantomeno aprire a un rapporto coi 5 Stelle.
Mentre Di Maio dalle colonne del Corriere spiegava che non c’è nessuna chance di governare “col partito di Bibbiano” (un po’ come non c’era nessuna chance di dare pezzi di Alitalia ai Benetton, o di lasciare andare avanti il processo che porterà alla Tav?), e Zingaretti per l’ennesima volta doveva ribadire che non pensa a un governo coi 5 stelle in nessun caso, ancora rimbalzava nell’internet il tweet di Matteo Renzi, che già ieri commentava l’ipotesi di un accordo canzonando quelli che mettono Di Battista contro Obama, che si fanno rappresentare da Paola Taverna sui vaccini, che non credono all’allunaggio, e così via. Per concludere con l’antico hashtag #senzadime utilizzato dai suoi quando fallì ogni tentativo di dialogo coi 5 Stelle dopo il 4 marzo 2018.
Al dilà delle notizie di ieri e di oggi e dei giornali di domani, il tema resta squisitamente politico. E ormai superati i tempi della tattica permanente di cui D’alema fu maestro, e decisamente da superare il rancore come categoria politica che ancora anima i vari #senzadime, bisognerebbe invece porsi una domanda completamente diversa: che immagine darebbe al paese, alla società, un accordo “di palazzo” tra due forze che si sono lottate a ogni livello, su tutto, e ancora lo fanno e – dati delle ultime europee alla mano – rappresentano all’incirca il 40% degli elettori italiani? Come si potrebbe pensare ad altre ragioni, che non siano la perdita dello stipendio, nello spiegare, adesso, quell’accordo? Davvero si vuole regalare a Salvini la possibilità di raccontare – realisticamente – che è stato oggetto di una manovra di palazzo del tutto avulsa dalle spinte della società italiana?
A queste domande vale la pena di provare a rispondere in modo serio adesso, in modo da avere la risposta giusta per il tempo in cui – se mai arriverà – ci sarà l’occasione tentatrice che – lo sice la sapienza popolare – tende a fare di ogni uomo un ladro.
Devi fare login per commentare
Accedi