Partiti e politici
Il prisma del sistema partitico israeliano, e le sfide alla democrazia
Lo Stato di Israele è estremamente frammentato, a livello politico e sociale.
Il partito Likud, tuttavia, è incontrastato. Guidato da Benjamin Netanyahu, e alleatosi con attori afferenti all’ultradestra israeliana, pone fondamentali sfide alla democrazia e alla regione.
Un paese di dimensioni ridotte, grande come una regione italiana. Pochi milioni di abitanti, e altrettanti problemi. Tanti, tantissimi partiti. Benvenuti in Israele. Un posto quasi incomprensibile, che non a caso è caratterizzato da un sistema politico frammentato, da partiti identitari che rappresentano piccoli pezzi di società, e con pochi parlamentari condizionano tutti gli altri. L’unica costante, dal 2009, si chiama Bibi Netanyahu, che governa pressoché ininterrottamente da 15 anni, e ha fatto il capo del governo per la prima volta nel 1996, cioè circa 30 anni fa.
Il sistema partitico israeliano è così frammentato per più motivi. Innanzitutto, Israele è un paese eterogeneo, con un tessuto sociale complesso, in cui spicca una larga maggioranza ebraica e una minoranza di popolazione araba. A livello ideologico, e poi a livello politico, la popolazione ebrea si divide in “secolare, religiosa e ultra-religiosa; veterani e immigrati da poco giunti nel Paese; Mizrahi (provenienti dal nord Africa) e Ashkenazi (provenienti dall’Europa).” Ma c’è anche un ulteriore motivo di frammentazione, data dalla struttura del sistema politico del Paese. Il sistema elettorale è infatti estremamente proporzionale, e non c’è una divisione dello Stato in zone geografiche più piccole. Questo rende, perciò, il sistema partitico estremamente frammentato, e per garantire la governabilità si rende necessaria la costruzione di ampie coalizioni governative.
Il partito Likud (consolidamento, in italiano), nonostante la vittoria elettorale nel 2022, e la conquista della maggioranza relativa dei voti, e dei seggi nella Knesset (32, su 120, corrispondenti al 23,4% dei voti totali) ha dunque dovuto cercare possibilità di coalizione con altre forze politiche, per riuscire a formare quello che sarebbe diventato il sesto governo Netanyahu – Benjamin Netanyahu che, dunque, rimane alla guida dell’esecutivo, salvo un breve intermezzo, dal 2009.
Il partito Likud, come accennato, è al corrente la maggiore forza politica del Paese, e rappresenta il più grande partito conservatore nel contesto israeliano. A livello ideologico, il partito Likud racchiude una grande varietà di posizioni, ed Assaf Shapira, ricercatore post-doc all’Università Ebraica di Gerusalemme e Sciences Po – Paris, ricorda che il partito Likud:
“è stato tendenzialmente definito un partito moderato di destra, in termini di [politica] economica ed affari esteri… negli anni recenti, ha abbandonato le proprie posizioni liberali, adottando sempre di più una postura populista diretta sia contro il pubblico arabo che contro le élite ebree; in particolar modo, le organizzazioni per i diritti umani, il sistema giudiziario, e le forze dell’ordine.”
Questo, aggiunge, in particolar modo a causa dei procedimenti giudiziari nei confronti dello stesso Benjamin Netanyahu.
La seconda forza politica in campo, invece, è il partito Yesh Atid, creato nel 2015 e guidato dall’ex giornalista Yair Lapid, maggior rappresentante del blocco di opposizione a Benjamin Netanyahu, e partner della coalizione con Naftali Bennet (HaYamin HeHadash, Nuova Destra) dal 2021 al 2022, cui è seguito per un breve periodo come premier fino alle elezioni del 2022. Yesh Atid (C’è un futuro, in italiano), è un partito considerato “centrista”, liberale nelle politiche civili, e che ricerca una “via di mezzo” nelle questioni di politica estera.
Tratto condiviso tra il partito Likud e Yesh Atid è la caratteristica di estremo personalismo. Anche il partito di Lapid, che ha totalizzato il 17,4% dei voti con 24 seggi conquistati in seno alla Knesset, possiede caratteristiche di grande centralizzazione del potere.
Sul “di sinistra” dello spettro politico israeliano, spicca il partito dei Democratici (The Democrats), nato dall’unione dei partiti di sinistra Meretz e Labour Party, erede dello storico partito Mapai. Tuttavia, alle elezioni del novembre 2022 il partito Meretz non riuscì a superare la soglia di sbarramento del 3,5%, mentre il partito Labour la superò appena con il 3,6% delle preferenze, entrando nell’assemblea parlamentare con solo 4 seggi. Yair Golan, vincitore delle primarie del partito Labour nel maggio del 2024, si è posto come obiettivo la “riunificazione della sinistra sionista in Israele” per lottare per uno Stato di “Israele liberal democratico”. A livello ideologico, la sinistra sionista è associata a posizioni meno aggressive in materia di politica estera, e a posture social democratiche per quanto riguarda le questioni domestiche.
Storicamente, mentre il Likud ha sempre negato legittimità all’idea della divisione della terra che vedesse realizzata l’idea di “due popoli per due stati”, la sinistra sionista si considera erede di Rabin e Peres che, pur senza riuscire a compierlo, avevano avviato il processo di pace che avrebbe dovuto portare alla nascita dello Stato di Palestina.
I tre grandi rappresentanti dello spettro politico israeliano non esauriscono, tuttavia, la lista di espressioni politiche all’interno dello stato di Israele. Come accennato in precedenza, per fare in modo di creare il sesto esecutivo a guida Likud, Benjamin Netanyahu ha dovuto cercare possibilità di coalizione con rappresentanti politici più a destra del Likud stesso. In particolare, fondamentali per la formazione del trentasettesimo esecutivo israeliano sono state la lista del partito Religious Zionism, con il 10,8% dei voti e 14 seggi, insieme al partito Shas, ultraortodosso, e alla lista United Torah Judaism. La lista National Unity Party guidato da Benny Gantz, con il 9,1% dei voti, che corrispondono a 9 seggi, si sarebbe poi unita al governo successivamente agli eventi del 7 ottobre, ritirando tuttavia il proprio supporto nei mei successivi.
Ma ancora, l’insieme dei partiti politici israeliani non si esaurisce con i rappresentanti che hanno ottenuto la maggioranza dei voti. Nonostante lo scarso successo elettorale, anche le liste Ysrael Beitenu (con un mix di politiche di destra in materie di affari esteri, e di centro per quanto riguarda il rapporto Stato-religione), la lista Ra’am, filoaraba, hanno ottenuto una percentuale di seggi in seno alla Knesset.
Tuttavia, il peso relativo del blocco “anti-Netanyahu”, comprendendo il partito Yesh Atid e i gruppi politici di centro-sinistra e filoarabi, non sono riusciti a contrastare il fronte più a destra.
Benjamin Netanyahu sarebbe poi infatti riuscito a formare il suo sesto governo di coalizione, succedendo all’anno di esecutivo Naftali Bennet-Yair Lapid, e includendo nel blocco governativo i partiti di ultradestra e ultraortodossi Religious Zionism, United Torah Judaism (unitosi successivamente, dopo il 7 ottobre 2023) e Shas.
Come accennato in precedenza, i partiti israeliani rappresentano diverse categorie della popolazione israeliana. Religious Zionism, in particolare, si pone come rappresentante dell’ultradestra israeliana, e fonda la propria proposta politica sull’Eretz Ysrael, la creazione del Grande Israele, con l’occupazione della Palestina e della Cisgiordania. Oltre a ciò, Religious Zionism propone una visione del mondo estremamente conservatrice, religiosa e contraria ai diritti LGBTQ+, e in generale al progressismo multiculturale. Alle ultime elezioni, secondo alcune rilevazioni, pare che Religious Zionism abbia raccolto voti sia dalla popolazione ebraica nazional-religiosa, ma anche “da ebrei tradizionali, dalle colonie, dai Mizrahim (ebrei provenienti dal nord Africa), ma anche da secolari”. United Torah Judaism, invece, pone il proprio centro di gravità politico sulla popolazione Haredi, ebrei Ashkenazi ultraortodossi. Tuttavia, la lista United Torah Judaism viene considerata come “non sionista”, non supportando attivamente la sovranità israeliana sui territori occupati. La lista Shas rappresenta, storicamente, la popolazione ebraica religiosa Mizrahi – in particolare, Sefarditi e Haredi – e si pone a destra sui temi sociali.
La coalizione governativa attuale sarebbe dunque categorizzabile come una di quelle più a destra della storia politica di Israele, e conta al momento tra le proprie fila alcuni rappresentanti radicali. Oltre al già citato Benjamin Netanyahu, tra le fila dell’esecutivo figura Bezalel Smotrich, del partito Religious Zionism, e al centro di alcune controversie riguardanti sue dichiarazioni nei confronti della popolazione palestinese, e sulla supposta annessione definitiva della Cisgiordania. Sempre del partito Religious Zionism è anche il Ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, anch’esso al centro di controversie per le sue posizioni radicali.
Il politologo Cas Mudde, nel 2019, già considerava che in Israele fosse in atto uno spostamento verso destra, sia del Likud che di tutta la politica israeliana, e di un fenomeno di normalizzazione (mainstreaming) di alcune idee radicali. Come tragicamente avvenuto nei mesi successivi, il concetto di Eretz Ysrael, Terra degli Ebrei, ha guidato e continua a guidare la politica estera del sesto governo Netanyahu, che ha adottato posizioni estremamente aggressive nei confronti di Gaza e della popolazione palestinese. Michal Ben-Josef Hirsch, in un articolo su The Conversation, considera che la democrazia israeliana stia attraversando un processo di “arretramento” (democratic backsliding) già iniziato nei mesi antecedenti ai fatti del 7 ottobre 2023, e di cui la proposta di riforma del sistema giudiziario poteva essere considerato un segnale di allarme. D’altronde, anche il centro di ricerca sulla democrazia V-Dem, per la prima volta dopo molti anni, ha classificato Israele come una “democrazia elettorale” e non più come una “democrazia liberale” – lo stile retorico del governo Netanyahu, l’esclusione dal dibattito pubblico della popolazione non-ebraica (nel 2018, è stata emanata una legge che definisce Israele “lo Stato nazionale del popolo ebraico”) desta molte preoccupazioni, sia a livello più esplicito per quanto riguarda la politica nei confronti del mondo arabo e della popolazione palestinese, ma anche per la salute della democrazia israeliana. Democrazia che, al momento, è attraversata da uno spirito illiberale, indisturbato e inopposto a livello di élite politica, non molto dissimile da altre aree e regioni del mondo.
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