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Il populismo non esiste
L’utilizzo del termine populismo sta oramai assumendo dei tratti grotteschi, quasi fantozziani. Non c’è articolo di giornale, trasmissione televisiva o chiacchiera da bar in cui non ci si imbatta in questo termine. La cosa curiosa, poi, è che lo si utilizza in così tanti modi e contesti diversi che sostanzialmente populismo oramai significa tutto, quindi niente. Populisti sono tutti quei nuovi partiti nati negli ultimi 5-10 anni, di destra o di sinistra fa lo stesso, populisti solo per il fatto di essere nuovi e diversi rispetto a quelli di matrice ottocentesca e novecentesca. Populiste sono le proposte di policy che si discostano da quelle dei governi nazionali presieduti da esponenti dei partiti, di nuovo, di matrice ottocentesca o novecentesca. Populista è lo stile di comunicazione di un attore politico quando sceglie di rilasciare un’intervista su una rivista di gossip. Populiste sono le opinioni. Se un cittadino o esponente politico pensa che bisognerebbe costruire un muro al confine tra il Messico e gli Stati Uniti o che bisognerebbe eliminare l’Euro e tornare alle monete nazionali, per molti queste sarebbero due espressioni di un pensiero populista. Personalmente non penso che gli Stati Uniti dovrebbero erigere un muro per disincentivare l’immigrazione proveniente dal Messico o che gli stati europei facenti parte dell’eurozona dovrebbero tornare ad avere la lira, il marco o i franchi francesi. Penso però che associare a questi fenomeni il termine populismo sia un errore e soprattutto non aiuti a comprendere la fase storica nella quale viviamo, quindi a capire come facilitare la formazione di una classe dirigente e di politiche pubbliche di qualità.
Populismo VS elitismo. Il dibattito scientifico che si è sviluppato intorno al termine populismo non sta di certo aiutando a chiarirne il significato, tutt’altro. Come correttamente osservava Ilvo Diamanti già nel 2010, visto che ne esistono molteplici e spesso contraddittorie definizioni, populismo deve essere considerato un termine con una “definizione indefinita”. Se tutto, quantomeno troppo, è populismo, è normale che alla fine nulla sia espressione di populismo. Per chiarire il significato di un concetto risulta sempre utile collegarlo al suo opposto o contrario, quindi capire quello che non è populismo. Come suggerisce il politologo Cas Mudde, ossia l’autore di una delle definizioni di populismo più note in ambito accademico, il contrario di populismo non è destra o sinistra, oppure responsabilità, serietà politica o rispetto delle istituzioni e dei riti politici. L’opposto di populismo è elitismo. Se tu, caro lettore, pensi che il ministro della sanità di una democrazia liberale debba essere la persona più competente in materia, una persona con (almeno) una laurea in medicina e con una profonda esperienza in politiche sanitarie, magari accompagnata da periodi di studio e lavoro all’estero a contatto con altri sistemi sanitari nazionali, ecco, ti informo che stai esprimendo un pensiero elitista. Nulla di cui vergognarsi, tutt’altro. Chi scrive è un elitista convinto, quindi pensa che sia inconcepibile, proseguendo l’esempio ipotetico appena utilizzato, che un ministro della sanità non abbia una laurea in medicina e una comprovata esperienza in politiche sanitarie al momento in cui gli sia, ipoteticamente, assegnato questo incarico.
Gli elitisti di destra e gli elitisti di sinistra. Quando un leader politico in un dibattito televisivo o un cittadino durante una chiacchierata in un bar etichetta un suo avversario con l’attributo populista, sta scegliendo di confrontarsi sulla dimensione populismo-elitismo, non destra-sinistra. Insomma, se il tuo avversario è un populista e tu non ti reputi tale, tu non sei, viceversa, di sinistra (o di destra), bensì ti consideri un elitista. E un elitista può essere sia di destra, che di sinistra. Un elitista di destra, ad esempio, pensa che il mercato non debba essere in alcun modo regolamentato e che chi di mestiere fa, ad esempio, il fabbro, difficilmente avrà acquisito nel tempo le competenze per prendere quelle decisioni attraverso le quali liberare il mercato dalle eventuali regolamentazioni introdotte da un governo nazionale o da istituzioni sovranazionali. Un elitista di sinistra, invece, pensa che lo scambio di beni e servizi debba essere regolamentato per meglio rispondere alle esigenze e ai diritti dei cittadini, mentre è d’accordo con l’elitista di destra che chi di mestiere fa il fabbro difficilmente avrà le competenze per prendere quelle decisioni attraverso le quali, nel suo caso, regolamentare dei processi economici sempre più complessi. Se un leader politico pensa che l’immigrazione sia sempre e comunque negativa per lo sviluppo di un paese, sta sviluppando un pensiero di destra, non populista. Questa è una sua opinione. Una opinione (ovviamente!) legittima all’interno di ogni democrazia liberale. Una opinione di destra, non populista. Di conseguenza, il concetto di tecnocrazia, di governo dei tecnici, utilizzato senza specificarne il colore politico, non ha alcun significato sostanziale. Un governo dei tecnici può essere di destra o di sinistra. E’ di destra se persegue e produce politiche di destra, mentre è di sinistra quando porta avanti un programma di governo, appunto, di sinistra.
Gli elitisti non esistono? Tuttavia, è una vera rarità osservare un dibattito in cui qualcuno si auto-definisca elitista. Per caso gli elitisti non esistono? Per caso nessuno pensa che la politica debba essere affidata a una élite con comprovata ed evidente competenza e esperienza nella materia dove dovrà poi prendere delle decisioni che condizioneranno la vita della sua comunità? Ovviamente non è così. Ci sono forze politiche che pensano che “uno vale uno”, quindi esprimono una concezione populista della politica, e altre che credono che compito di una forza politica sia in primis quello di proporre ai cittadini la miglior classe dirigente possibile in ogni ambito di policy, selezionata con l’obiettivo di produrre delle politiche pubbliche che esprimano i propri valori e visione del mondo, quindi di destra o di sinistra, progressiste o conservatrici.
La selezione della classe dirigente. Il tema di fondo, pertanto, riguarda la selezione della classe dirigente, ossia lo scopo primario di un partito politico. E qui sono molti anni che oramai stiamo osservando un cortocircuito sempre più evidente. Un partito come il Movimento 5 stelle è populista o elitista? Un partito che afferma continuamente che “uno vale uno”, ma poi quando ad esempio deve scegliere gli assessori per il governo della capitale dichiara di volerli scegliere tramite curriculum e non attingendo ai membri del suo partito, è populista (uno vale uno) oppure elitista (i curriculum)? Insomma, viviamo una fase storica in cui chi viene (quasi) unanimemente considerato come l’emblema per eccellenza del populismo, ossia il Movimento 5 stelle, contiene al suo interno anche il seme dell’elitismo. Allo stesso modo, viviamo in una fase storica in cui chi etichetta un avversario politico con l’epiteto di populista non si autodefinisce con il suo contrario, ossia elitista, come se autodefinirsi elitista rappresentasse qualcosa di cui vergognarsi, quindi da tenere nascosto.
Nel frattempo, la parola populismo è parte della nostra quotidianità, mentre la parola elitismo sostanzialmente è come se non esistesse. Da persona che pensa che, come l’ospedale della mia città debba ambire ad avere i migliori primari in oncologia, ortopedia o cardiologia, anche il governo della mia città e del mio paese debba ambire a coinvolgere le migliori competenze in materia di politiche sociali, sanitarie o economiche –e che sviluppino politiche di sinistra o di destra a seconda del proprio credo politico– non posso che rivendicare la mia appartenenza al campo degli elitisti. Un campo che sembra non esistere, perché nessuno ne rivendica l’appartenenza. Ma se l’elitismo non esiste, beh, allora lo stesso dovrebbe valere anche per il suo opposto, ossia questo fantomatico populismo.
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