Partiti e politici

Il populismo conquisterà l’Europa? La prima tappa della sfida è in Olanda

23 Febbraio 2017

“Il primo test per i populisti di tutta Europa” ha scritto l’Economist pochi giorni fa, riferendosi alle elezioni olandesi come il primo di una serie di appuntamenti elettorali, previsti nel 2017: prima i Paesi Bassi, poi la Francia e infine la Germania. Il voto del 15 marzo, quindi, non solo cambierà la composizione della Camera Bassa olandese ma, presumibilmente, prefigurerà anche l’esito delle elezioni nelle altre nazioni e l’indirizzo che potranno avere.

Il referendum sull’Ucraina come espressione dell’euroscetticismo

In Olanda dove si è appena conclusa l’esperienza inedita di un esecutivo rosso-blu, infatti, le sirene del populismo di destra si sono rafforzate negli ultimi anni. Momento chiave è stato il referendum sul trattato di associazione tra Ucraina e Unione Europea che, promosso dal blog GeenStijl e da altre sigle euroscettiche al grido “Dit land is ons land” “questa terra è la nostra terra”, è riuscito a catalizzare lo scontento nei confronti dell’UE. Il 6 aprile 2016 la partecipazione è stata limitata (appena il 32% degli elettori si è recato alle urne) ma sufficiente a superare di poco la soglia di validità del referendum.

Il populista PVV contro Islam e Unione Europea

Pur senza decisioni concrete prese finora dalla politica, la campagna referendaria ha rafforzato il populista PVV che, da più di un anno in testa ai sondaggi, si presenta come uno tra i favoriti alle elezioni di marzo. I dieci punti del suo programma elettorale sono talmente semplici e chiari da poter essere contenuti in un unico foglio: de-islamizzare l’Olanda, abbandonare l’UE, dare voce alle esigenze del popolo e più soldi a difesa e polizia. Non nuovo a uno stile provocatorio e controverso, il suo leader Wilders ha addirittura accusato uno dei rivali di fiancheggiare i terroristi islamisti.

Anche il liberale VVD e il socialdemocratico PvdA critici su minoranze e Unione Europea

Il suo avversario principale è il liberale VVD del premier Rutte che, invece, si candida a difesa dell’ordine e dello status quo contro terremoti politici a destra e improbabili movimenti a sinistra, senza rinunciare, però, a strizzare l’occhio alle crescenti sensibilità nazionaliste. “Siate normali o andatevene” è stato l’ultimatum lanciato da Rutte agli appartenenti alle minoranze etniche, adottando così un approccio fortemente integrazionista alla questione migratoria e alla convivenza tra le diverse comunità dei Paesi Bassi. Anche l’ex alleato di governo, il socialdemocratico PvdA, al palo nei sondaggi, ha investito in questa corsa al voto identitario, scegliendo, fin dalle primarie dello scorso novembre, l’ex vice primo ministro Asscher per traghettare il partito alle elezioni di marzo. Era stato lui a promuovere una vasta indagine sulla comunità turca che aveva provocato il risentimento e l’uscita dal PvdA di due deputati di origine anatolica. Oltre a ciò, una delle sue prime prese di posizione del 2017 ha riguardato lo scottante tema della libertà di movimento nell’Unione Europea, accusata di aver imposto un modello di business basato sull’abbassamento dei salari.

Gli altri: due partiti al centro e la sinistra divisa

Sulle tematiche europee così come su questioni etiche come l’estensione del diritto all’eutanasia, si differenziano due forze collocate al centro come il democristiano CDA e il progressista D66 che, invece, per quanto riguarda le proposte socio-economiche, sono molto vicine. Le divisioni attraversano anche la sinistra olandese, soprattutto sul tema dell’Unione Europea e dell’immigrazione. “Lavoratori stranieri sfruttati, olandesi disoccupati” ripete l’SP, da una parte, scagliandosi contro la libertà di circolazione portata dalla UE mentre, dall’altra, il GroenLinks, guidato dal giovane Klaver, mantiene la sua vocazione europeista. A partire dallo slogan “accettazione reciproca invece di integrazione” DENK, fondato dai due ex deputati turchi del PvdA, e Artikel1 si smarcano dagli altri partiti, cercando il voto delle minoranze, soprattutto turca nel primo caso, e dei settori più progressisti della società olandese. Con una piattaforma “per servire gli interessi di tutte le specie, umana ma anche animale”, anche l’animalista PvdD si candida per il terzo mandato parlamentare.

Le dichiarazioni xenofobe di Wilders lo isolano dagli altri partiti

E’ questo lo scenario frammentato con cui i 28 partiti in lista devono fare i conti prima della scadenza elettorale del 15 marzo. A pesare sulla scelta di voto degli olandesi saranno non solo le proposte programmatiche ma anche il sistema elettorale strettamente proporzionale che impone necessariamente delle alleanze per governare. Per ora il populista Wilders non sembra esserne troppo interessato, preferendo piuttosto incidere sul dibattito elettorale con le sue uscite pubbliche fortemente divisive. Dopo essere stato condannato, ma senza pena, per le accuse di discriminazione e istigazione all’odio razziale, peraltro, non ha timore di scagliarsi contro alcune parti delle comunità straniere nei Paesi Bassi, come successo sabato, quando ha accusato la giovane “feccia marocchina” di mettere a rischio la sicurezza nel paese.

 

 

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