Partiti e politici
Il popolo del Pd archivia Renzi ma resta in cerca d’autore
Un milione e 700 mila votanti, per le primarie del Pd, dicono gli organizzatori. Forse anche qualcuno in più. Pochi di meno rispetto a quelli che, nelle malinconiche primarie del 2017, premiarono Matteo Renzi prima di avviarsi verso il massacro delle elezioni politiche. Il primo dato è che il calo di partecipazione alle primarie del Pd, sempre robusto fino alla scorsa volta, è questa volta risicato, contenuto. L’asticella (ancora una volta) era stata tenuta molto bassa, e anche questa volta il Pd può rivendicare un buon successo.
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Il popolo del “primo cerchio” – militanti, attivisti, simpatizzanti vicini – si rivela fedele. E a fidelizzarlo, nonostante una campagna congressuale non esaltante, contribuisce sicuramente una maggioranza di governo politicamente e antropologicamente distantissima dall’attitudine educata e posata di chi ha avuto nell’antica leadership di Romano Prodi la sua espressione più piena.
Il secondo dato è tutto nei numeri della vittoria di Nicola Zingaretti. Un politico longevo e per lunghi anni invisibile – longevo perché invisibile, dirà qualcuno – si porta dietro un pezzo importante del popolo, lo stesso popolo, che la volta prima e per qualche anno, aveva attribuito fiducia cieca in Matteo Renzi. Lui che renziano non è stato mai, ma nemmeno anti-renziano davvero, che non si sa mai, oggi funziona da catalizzatore della maggioranza dei consensi interni. Come era successo a Renzi e, prima ancora, a Bersani. Perché quel popolo democratico sembra funzionare proprio così: chiede unità, e ad essa prova a contribuire rafforzando di volta in volta la leadership del più forte, contro le destre, i cinque stelle, l’Italia esagitata di Salvini.
Già, il problema resta il solito, ed è tutto davanti. Quanto questa “festa della democrazia” è in grado di rappresentare un cambio di passo nel paese e nella società? Un’inversione della rotta del consenso, un nuovo mondo che inizia? Pare lecito dubitarne, se non cambieranno le catene di rappresentanza territoriale e di interessi, il rapporto con la società stessa, la capacità di dialogare con il paese che sta fuori dalle grandi città, minoritarie demograficamente eppure sovrarappresentate dal voto delle primarie.
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Le questioni sono insomma sempre le stesse. Il Pd, al di là delle contingenze bersaniane, renziane e post-renziane, pure. Ha bisogno di due cose: di giovani e di provincia italiana. Queste primarie, a sentire i primi dato che arrivano dai seggi, confermano che i buchi stanno lì, esattamente dove vincono gli altri.
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