Partiti e politici
Il Pd è in crisi, ma governerà per anni
Non funziona più come una volta. Matteo Renzi riprova a dare slancio alla sua figura, al suo rinnovato racconto, un po’ più plurale di un tempo, ma in qualche modo il giocattolo sembra essersi, se non rotto, almeno incrinato. Ed il Pd, il suo Pd, non viene più visto come un possibile traino della politica italiana.
I 5 stelle hanno intanto preso il volo. Tutti i sondaggi prodotti negli ultimi giorni ci parlano di un distacco ormai molto significativo, tra M5s e Pd, sicuramente oltre i 5 punti. Diverse concause hanno favorito questa fuga: i litigi interni al Partito Democratico, la scissione dell’ala dalemiana, la nascita di nuove sigle alternative a sinistra del partito, un principio di sfiducia che sta nascendo anche tra l’elettorato Pd, che ancora fino ad un mesetto fa credeva comunque di essere nella retta via, nonostante la sconfitta referendaria.
Se ci fosse oggi un leader un po’ più capace di trascinare le folle, rispetto ad Orlando, è probabile che riuscirebbe a costringere Renzi a farsi da parte, e lo sconfiggerebbe alla prossime primarie. Ma questo leader non c’è, ed il Pd è quasi costretto a tenersi il segretario uscente e, presto, rientrante. Pur essendosene in qualche misura disamorato, pur non rinnovando il proprio entusiasmo di un tempo quando, all’indomani della “non vittoria” di Bersani, si pensava davvero che il nuovo premier potesse cambiare le modalità stantie di fare politica in Italia.
Il modo in cui Renzi si ripropone in questi giorni al Lingotto, come se lui non fosse Renzi, ma un nuovo leader che vorrebbe trasformare il mondo, non facilita particolarmente la crescita di fiducia nel Pd, nemmeno da parte degli elettori che non hanno creduto alla diaspora degli scissionisti. E l’idea che possa essere ancora lui il candidato per Palazzo Chigi non aiuta, sa un po’ di minestra riscaldata.
E si fa strada invece un’altra idea per il futuro del paese, sia tra i democratici sia soprattutto tra gli altri partiti. Sappiamo ormai per certo che, abolito il possibile ballottaggio dell’Italicum, non ci sarà sicuramente una maggioranza possibile per nessun partito né per alcuna coalizione. E se anche al limite ci fosse alla Camera, non ci sarebbe al Senato. Il Movimento 5 stelle, pur in crescita di consensi, non potrà dunque governare da solo, e non si potrà alleare con altri, pena il proprio suicidio. Con la crisi del centro-destra, l’unica strada percorribile sarà quella di formare un esecutivo dove il Pd sarà il partito-guida, con l’appoggio (interno o esterno che sia) di una parte della sinistra (Pisapia?) e di una parte del centro e del centro-destra.
Quindi: un Pd sia pure in crisi di consensi (e che uscirà come secondo partito alla prossima tornata elettorale) ancora “costretto” a prendere le redini del governo, ma certo non più con Renzi, che non sarebbe votato da nessun altro e non permetterebbe alcuna alleanza con altre forze politiche. E’ dunque possibile che come premier possa venir scelta una figura come quella di Gentiloni, non troppo inviso e non troppo divisivo. Renzi resterà segretario di partito, ma abdicherà alla poltrona di primo ministro. Questi saranno i prossimi (confusi) anni politici. Certo, ci fosse stato l’Italicum, forse il paese ne avrebbe tratto maggior giovamento, quanto meno nella solidità delle maggioranze di governo…
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