Partiti e politici
Il PD di Zingaretti ristagna
Quando venne eletto il nuovo segretario, in un’Assemblea Nazionale dove regnava un clima quasi da ultima spiaggia, Nicola Zingaretti pareva poter dare nuovo ossigeno alla principale forza politica di centro-sinistra, il primo tassello della rinascita di un Pd in evidente sofferenza: il Partito Democratico era reduce dalla sua peggior performance elettorale della sua (breve) storia, nelle politiche dell’anno precedente, che lo avevano visto retrocedere ad un livello di consensi inferiore al 19%, con un elettorato dimezzato nel giro di soli dieci anni; le conflittualità all’interno del partito, nonostante Renzi si fosse fatto ufficialmente da parte, non cessavano di diminuire; l’opinione pubblica e gli stessi cittadini vicini al partito chiedevano a gran voce un sostanziale cambio di rotta e, soprattutto, la messa in campo di una reale proposta politica alternativa a quella del governo giallo-verde allora in carica, o a quella del centro-destra, incarnato dalla Lega di Salvini.
Dopo il buon successo di partecipazione alle primarie, quanto meno migliore delle aspettative, che avevano visto nettamente primeggiare Nicola Zingaretti, nel discorso pronunciato dal neo-segretario emergeva effettivamente un forte richiamo all’unitarietà, ad una sorta di rifondazione del Partito Democratico in nome dei suoi principi basilari sostenuti nella costituente (e in particolare da Walter Veltroni). L’occasione poi, capitata quasi per caso dopo alcuni errori strategici di Salvini, di rientrare al governo del paese dopo un solo anno di opposizione sembrava poter regalare una nuova chance per dare più slancio al partito, sia nella considerazione degli elettori che nelle proposte politiche, in un paese reduce da un esecutivo a trazione leghista. Che ne è stato di tutte queste speranze a distanza di oltre un anno?
Dal punto di vista dei consensi, dopo il timido rilancio delle Europee 2019, sia i successivi appuntamenti elettorali amministrativi (a parte la buona tenuta in Emilia-Romagna) che le dichiarazioni sulle intenzioni di voto non paiono aver smosso alcunchè. Il Pd vivacchia da mesi intorno ad un livello del 21-22%, senza grosse cadute ma anche senza grandi exploit. Un po’ (ma solo un po’) di vecchi elettori hanno preferito seguire Renzi nella sua nuova formazione, alcuni ex-astensionisti o votanti di Leu sono ritornati nella casa-madre, senza modificare alla fine la quota di appeal elettorale del Partito Democratico. Quasi cristallizzato, impossibilitato a rilanciare un possibile governo di sinistra, ma nello stesso tempo imprescindibile per mantenere vivo l’attuale governo con i pentastellati.
Dal punto di vista della proposta politica, la cristallizzazione è ancora più evidente. Nato per modificare in maniera sostanziale le precedenti leggi targate soprattutto Salvini, ha fatto poco o niente per eliminarle. E il cambiamento di stile, una visione più chiara della società che avrebbero in mente, un’attenzione più decisa nei confronti delle classi più emarginate, si fanno ancora attendere. Non ci sono stati pronunciamenti decisi in alcuna direzione, non è rimasta traccia in quasi dieci mesi di governo di una proposta rilevante del Pd in materia economica, sociale, culturale, e nemmeno in occasione della recente crisi pandemica.
Gli elettori di centro-sinistra aspettano, pazienti, il risveglio annunciato.
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