Partiti e politici

Il partito di Grasso vale ben più del 6%

8 Dicembre 2017

Come è naturale, e come succede sempre in questi casi, la fame giornalistica di divinazioni sul futuro è particolarmente pervasiva. E dunque tutti a chiedere a tutti i sondaggisti del paese, a poche ore dalla scesa in campo di Pietro Grasso, quanto potrebbe valere, in termini elettorali, la nuova formazione unitaria di “Liberi e Uguali” (già coniato l’acronimo LeU?). E poi: quanto piace il Presidente del Senato? quanto è conosciuto? quanto è alta la fiducia nella sua persona?

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Domande legittime. Risposte illegittime. Ricordo quando De Mita decise di non aderire al novello Partito Democratico di Veltroni; la richiesta ricorrente da parte dei giornalisti era, ovviamente: quanto perde il Pd con la sua rinuncia a far parte della nuova formazione politica? Niente, rispondevo sempre a chi mi interrogava. Ma “niente” non faceva notizia, così nessuno lo scriveva.

Oggi la situazione è ovviamente differente. Il tema attuale è un po’ diverso perché già esistevano, prima di Grasso, formazioni alla sinistra del Pd intenzionate a misurarsi nella prossima competizione elettorale. La presenza di Grasso si configura come quel collante che prima mancava, quello stimolo a presentarsi non più separatamente, ma riuniti attorno ad un unico simbolo (peraltro, già stanno prendendo corpo i primi distinguo, le prime defezioni). E questo fa la differenza, come vedremo tra breve.

Ma, intanto, a quanto viene stimato “Liberi e Uguali”? I sondaggisti non sono concordi, come spesso accade: si va da un ridotto 5-6% fino a toccare vette del 10-11%; il Pd, per contro, perderebbe quote dal 2% al 4-5% del suo elettorato. E quindi, la competizione tra le due formazioni sarebbe serrata, in avvicinamento alla data del voto, a marzo. Ricordate le recenti elezioni siciliane? Alcuni sondaggi, sui principali quotidiani, ipotizzavano addirittura il possibile sorpasso di Fava su Micari; poi il candidato della sinistra ottenne il 6% e quello del Pd più di tre volte tanto. Qualcosa di simile accadrà anche in questa occasione, sempre che non si verifichi il già noto “effetto Ingroia”, del 2013.

Il problema per il Pd non è però questo. Il suo problema esisteva anche prima di Pietro Grasso: se non ci sarà alcun appoggio delle forze di sinistra, nel voto maggioritario, il Partito Democratico rischia di perdere almeno una decina di collegi, forse 15, che andrebbero verso il centro-destra o i 5 stelle. Il suo bagaglio di seggi finale lo metterebbero in una scomoda terza posizione, nettamente superato dalla coalizione di Berlusconi e dal movimento di Grillo. E con quel risultato non ci sarà nessuno spazio per alcuna alleanza di governo. E si apriranno giorni bui di inutili contrattazioni, ancor più inutili di quanto è accaduto nelle precedenti consultazioni, con Bersani che cercava l’aiuto dei pentastellati per poter governare. Ora non basterebbe nemmeno quello.

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Tanto peggio, tanto meglio. Al solito.

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