Partiti e politici
Il Partito della Nazione racchiude tutti: ma gli avversari chi sono?
Qualcosa non torna nel «Partito della Nazione», il formidabile contenitore che dovrebbe comprendere destri e sinistri, lieti fancazzisti e operosi imprenditori, anime equosolidali dal piglio deciso per cui “aiutarli a casa loro”, ma anche liberali che non hanno una casa da secoli, tutti insomma felicemente affratellati sotto l’ombrello renziano, che ci ripara da tutte le scorie nucleari della Storia con le sue consumate ideologie e ci restituisce al presente completamente “spartitizzati”. Ne ha parlato Angelo Panebianco sul Corriere, con argomenti certamente non nuovissimi, ma prefigurando uno scenario del tutto plausibile nel caso in cui il premier dovesse abbattere la strenua resistenza della minoranza dem. «La democrazia post-partitica può sopravvivere – scrive il professore bolognese – solo se ri rafforza la capacità di governo. Il (possibile) Partito della Nazione ha bisogno di sostituire il mancato radicamento sociale (proprio dei partiti tradizionali) con una crescita del potere dell’esecutivo. Per questo la riforma del Senato è oggi così importante».
Se la storia, le passioni politiche, gli scontri, le divisioni, ecco se tutto questo viene improvvisamente a mancare, il che non è affatto detto che sia un danno, su quali fondamenta si costruisce un nuova rappresentazione sociale che, almeno sotto il profilo lessicale se non dei contenuti, si dovrà ancora considerare politica? Semplicemente sull’agire, ci dice Panebianco (e pensa Renzi), sul governare, sul fare (magari bene) le cose, altro non servirà. Una buona parte di popolo, se tutto questo avrà una sua logica rappresentazione, se appunto ci sarà una certa felicità diffusa, seguirà. E darà al candidato Renzi, attraverso il suo voto, la possibilità concreta di vincere le elezioni e consolidare quella visione apparentemente sin troppo semplicistica.
Nel pensare a questa (prossima?) rappresentazione italiana, ci scorrevano davanti le immagini del primo scontro televisivo repubblicano per la presidenza americana, dove il tamarro Trump ha dato letteralmente spettacolo (e nei sondaggi vola). Dieci-repubblicani-dieci e neppure tutti, visto che gli studi di Fox non avrebbero potuto contenere i diciassette regolari. Ma diciassette è certamente un numero enorme, che ha un suo significato di fondo: qui il confronto è tostissimo, innanzitutto sulle idee, questo è scontato, ma soprattutto sulla considerazione americana per questo genere di rapporto con gli elettori. Ora, Paul Krugman sostiene che l’attuale Partito repubblicano è totalmente uscito di senno, che non è solo Trump a dire delle cose bestiali, «si vede – scrive – che sono soltanto una sfilza di pazzoidi». Ma al di là delle dinamiche interne, e siamo solo all’inizio di una gara senza esclusioni di colpi, fa un certo effetto l’enormità delle opzioni in campo.
Se è vero che lo scenario futuro italiano sarà quello di creare due blocchi, i renziano-democratici da una parte e i repubblicani dall’altra, bisognerà dire con una certa franchezza che non siamo neppure al giorno zero di questo nuovo mondo. E non perchè la destra non esista. La domanda che sale, inevitabile, è la seguente: se questo Partito della Nazione prende voti a destra, al centro e a sinistra, con il che immaginare che non abbia principi fondativi e ispiratori ma solo obiettivi da raggiungere, come è pensabile che possa contrapporsi a chicchessia, se racchiude – esso stesso -, almeno nelle intenzioni, tutte le sfumature possibili? È chiaro che sulla carta non avrebbe un avversario definito, più che un Partito della Nazione sarebbe dunque un Partito Unico della Nazione – il PUN. Sorgono, a catena, altre domande. Come alimenterà se stesso e il suo futuro, il prossimo PUN, chi potrà spingerlo a dubitare di sè, forma virtuosa di sana consapevolezza in politica, con chi si confronterà, dove troverà altri sedici candidati alla poltrona di premier all’interno delle sue stesse fila?
I “Democratici” confliggono in natura e in radice con il Partito della Nazione immaginato da Matteo Renzi, pensare di unirne i destini, richiamando gli Stati Uniti, pare qualcosa più di un’ingenuità. L’espressione populista della politica non ha mai generato confronti, viaggia in solitario sino a quando il favore del vento te ne concede la possibilità. Sarebbe forse più onesto dichiararlo pubblicamente, ma è chiaro che staccarsi completamente e definitivamente dalla parola “sinistra” è, per ora, una responsabilità terribile che Matteo Renzi non vuole o non è in grado di prendersi.
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