Partiti e politici

Il partito del leader non convince più

3 Ottobre 2017

C’erano una volta i leader forti, quelli che rivoluzionavano i partiti, mutandone le forme e le prospettive politiche. O quelli che facevano nascere nuove forze politiche, che continuavano ad esistere soltanto grazie alla loro presenza. Per restare in Italia, dopo Berlinguer, Pannella e Craxi, ci sono stati Bossi, Berlusconi, Di Pietro, Rutelli, Fini. E poi Grillo, Salvini, Renzi. Tutti uomini politici che diventavano un imprescindibile punto di riferimento dell’elettorato, dalle cui azioni o dichiarazioni dipendeva lo sviluppo della competizione elettorale ed il cammino del partito a loro associato.

Da qualche tempo a questa parte qualcosa sta cambiando. Impercettibilmente, giorno dopo giorno, i leader-leader, i capi carismatici (o sedicenti tali) segnano qualche punto in meno, nella considerazione dei cittadini. Niente di eclatante, sia ben chiaro, ma gli apprezzamenti degli elettori si dirigono ora con sempre maggior frequenza verso personaggi più tranquilli, meno “esagerati” o fuori dalle righe. Quasi anonimi, nella comunicazione pubblica.

Già Angela Merkel ne è stato un fulgido esempio, da qualche anno. Quattro elezioni vinte senza mai alzare la voce sono un retaggio difficile da eguagliare. E poi Macron, sobrio e pacato, ammalia da subito la Francia ed è un vincente inaspettato contro i proclami urlati della destra e della sinistra più radicale.

Anche da noi, finito il tempo dei funamboli delle parole e della scena, come Renzi e Grillo, entrano in scena personaggi più normali, indipendentemente dal loro valore e dalla loro capacità politica. Gentiloni e lo stesso Di Maio, per nelle differenze di stile e di contenuto, incarnano figure di leader completamente differenti dai loro predecessori. Sala a Milano, Toti in Liguria, Zingaretti nel Lazio, Chiamparino in Piemonte non urlano, non strepitano, non aggrediscono i giornalisti.

Uno stile di leadership che pare stia mutando, e intercettando con più continuità un umore, da parte del cittadino-elettore, che ormai pare essersi un po’ stufato delle urla, dei proclami altisonanti cui a volte non segue alcun contenuto specifico. E nascono e crescono anche movimenti, partiti senza veri e propri leader carismatici, in Catalogna o in Germania. Certo, non tutto è così, non tutti sono così. Sopravvivono i Salvini e i De Luca, ma non è detto che dureranno ancora a lungo, se gli italiani proseguono in questo trend di rifiuto degli stili di comunicazione eccessiva.

Gli stessi talk-show, un tempo tanto amati, da qualche anno perdono costantemente quote di share e di telespettatori, a causa del loro costante battibecco urlato e incomprensibile, quando sta diventando un po’ più forte, a fronte dei problemi urgenti da risolvere, il bisogno di comprendere dove stiamo andando, che fine farà il nostro amato mondo occidentale.

Proposte più articolate, e meno agitate, servono a capire e, forse, ad agire di conseguenza anche dal punto di vista elettorale. Vedremo fra poco come sarà la campagna di avvicinamento al voto di inizio primavera. Se si tornerà agli insulti, alle aggressioni verbali, ai roventi dibattiti di un tempo, è molto probabile che i cittadini, già disamorati della politica, restino a casa, a guardarsi qualche partita di calcio, o qualche bella serie televisiva. Indifferenti.

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