Partiti e politici

Il nuovo Pd, il partito dei lustrastivali in purezza

29 Ottobre 2017

Con raro senso proprietario, Matteo Renzi ha ritirato la delegazione Pd dal Consiglio dei ministri che doveva decidere sulla nomina di Visco a nuovo/vecchio governatore della Banca d’Italia, configurando così un novissimo assetto istituzionale secondo cui i ministri non rispondono più alla Repubblica, ma agli estri quotidiani del capo Nazareno. Essendo un unicum nella storia patria, la questione ha sollevato più di un qualche interrogativo sul rapporto malato che lega questo governo a questa segreteria pd, ma soprattutto ha cambiato radicalmente la percezione di autonomia dell’esecutivo rispetto alle esigenze di potere di un qualsiasi leader. Al di là delle grida di scandalo, peraltro giustificate, che si sono levate da più parti, dobbiamo dire che questo episodio straordinario è una vera manna dal cielo. Non ci potrebbe essere esempio migliore per definire il Potere contemporaneo nella sua parte più piena e deteriore ed è auspicabile che i nostri professori universitari aggiornino i loro appunti inserendolo d’imperio nei loro programmi.

Da feticisti della materia, ci ha letteralmente entusiasmato, riportandoci alla radice di tutto, là dove la smania – che dovrebbe mantenere il tratto della misura – assume invece i tratti sghembi di una piccola, impercettibile, bava alla bocca che tracima sempre di più e diventa schiuma incontrollata. È dunque giusto esaminare più in profondità la questione, inserendoci i protagonisti della vicenda. Che sono quattro, divisi per fedeltà: la Boschi e il Lotti tra gli indiscutibili, poi il bergheimer Martina vice di Renzi e infine colui che si credeva il più autonomo della compagnia, cioè Graziano Del Rio. A polemica scoppiata, ognuno ha offerto una propria versione dei fatti con relativa motivazione: quella Meb e Del Rio sanitaria – la maledetta influenza di stagione – quella di Lotti e Martina esclusivamente professionale: quel giorno avevano impegni fuori porta. Un primo paradosso ha riguardato proprio la tenera Maria Elena, alla quale era stato chiesto il gesto responsabile di non presenziare a un consiglio dei ministri nel quale appariva lievemente fuori asse, dovendosi trattare del destino del governatore di tutte le banche (compresa Etruria). Meb in effetti non c’era. Ma la sua assenza fragorosa ha assunto i caratteri della sfida e non, piuttosto, quella della saggia consapevolezza. Mi si nota di più se vengo e sto in disparte o se…?

Ha davvero poca importanza, in questo caso almeno, che Matteo Renzi abbia imposto ai quattro di sottrarsi con un ordine perentorio, anzi, è del tutto plausibile, nella rappresentazione più gastrica delle viscere umane, che i nostri eroi abbiano interpretato i voleri del Capo senza neppure interpellarlo. È la sintesi massima del lustrastivali in purezza, quella di non dover chiedere più, per arrivare nel tempo a non chiedere mai. Sapere esattamente cosa il capo desidera, cosa gli passa per il cervello nei passaggi politici più intricati, in sostanza farsi solerti interpreti del Pensiero Unico, rischiando peraltro di superarlo (in questo caso a destra) di molte incollature. È un portargli un caffè sulla scrivania, con il rischio peraltro ch’egli ti possa eccepire: «Ma chi te lo ha chiesto?»

Ecco, di questa sovrapposizione ideale tra voleri del leader e interpretazione autentica dei suoi scendiletto non poteva sorprendere che due protagonisti su quattro della storiaccia fossero la Meb e il Lotti, ai quali va riconosciuta certamente una primazia sul piano della fedeltà e della congiunzione ideale di intenti. Si dice che i ragazzi, nati con lui, moriranno con il medesimo, anche se i racconti di questi anni hanno portato alla luce anche una certa autonomia sanguinolenta della Meb, che richiamerebbe la rigenerazione della lucertola. Ma insomma, la storia dirà, e per il momento la vita è adesso. I veri soggetti da laboratorio, in realtà, sono Maurizio Martina e Graziano Del Rio, ai quali andava preventivamente riconosciuta – soprattutto al secondo – una certa autonomia di giudizio. Ci perdonerete se, per Mau Martina, richiameremo le origini, ma certo ci ha fatto una certa impressione vedere un bergheimer orgoglioso trasformarsi in un ufficialetto di complemento che esegue senza discutere gli ordini del Capo. Probabilmente, la scelta di accettare la vice segreteria del Pd ha posto il nostro ministro nella condizione di dover accettare una buona dose di compromessi (verso il basso), ma nulla si può perdonare all’uomo se tutto ciò rientra nella sua (anche legittima) ascesa verso il potere personale. Quindi, caro ragazzo: o ti mostri orgoglioso e autonomo per quanto puoi, o siamo legittimati a considerarti un lustrastivali del Capo. Caso eclatante, forse il più fragoroso, quello di Graziano Del Rio, che nel passato si era mostrato critico nei confronti del leader anche con una certa passione civile. Qui siamo all’insondabile: Del Rio abdica ai suoi obblighi/doveri di ministro per inaugurare una nuova, personalissima, rappresentazione della fedeltà. Ci chiediamo, gentile Del Rio: ma se domani uno dei suoi meravigliosi nove figli le chiedesse conto di questo gesto, lei come risponderebbe?

L’episodio dell’assenza di quattro ministri renziani al Consiglio dei ministri che doveva decidere su Visco, nasconde in realtà un doppio dramma di fondo. Il primo è istituzionale: essi decidono scientemente di negarsi allo Stato, verso cui, da ministri, hanno il dovere della disciplina. Niente avrebbe vietato, infatti, che in disaccordo su un punto centrale del governo come la nomina del Governatore, essi potessero presentare le loro dimissioni. Questo ne avrebbe fatto degli uomini di stato completi e responsabili.

Ma poi, per gli appassionati di sinistra, c’è il drammone vero. E cioè la capacità del Partito Democratico di discutere al suo interno. A ogni intervista, Matteo Renzi si vende la bubbola che dentro gli organismi si discute, si litiga, ci si manda a quel paese, persino in maniera sfibrante ed è per questo che il partito non decolla. Ci permettiamo di dubitare. Tutto questo appartiene a grandi partiti che non ci sono più. In questo Partito Democratico, il Capo ordina a quattro ministri di non presentarsi al Consiglio dei ministri, perché lui non gradisce. Siamo al giorno zero. Siamo al partito dei Lustrastivali in purezza.

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