Partiti e politici
Il nome del prossimo sindaco di Roma? Dipenderà da Virginia Raggi
Che il titolo di questo articolo non inganni: le possibilità di conferma di Virginia Raggi a sindaco di Roma sono remote come quelle di vedere Matteo Salvini fare il volontario sulla Open Arms o di assistere a un saluto di Simone Pillon al Gay Pride di Tagliacozzo (AQ); ma da quanti voti riuscirà a confermare l’ormai ex prima cittadina della Capitale, dipenderà il risultato della contesa.
La destra, con Enrico Michetti, ha decisamente surclassato il Partito Democratico di renziana memoria che fino a poche settimane fa, con Roberto Giachetti, deteneva il primato mondiale in “candidature ai confini della realtà”. Il povero tribuno radiofonico era il piano G (da non confondersi col celebre punto…), il risultato finale di una specie di minaccia meloniana che suonava più o meno così: “se nessuno si decide prendiamo il primo che passa”. Nessuno si è deciso e il primo a passare è stato lui, che per ricambiare l’entusiasmo di chi lo ha candidato ha pensato bene di mettere come primo punto programmatico della sua campagna elettorale i fasti della Roma Imperiale.
Col passare dei giorni, un po’ tutti, a destra e manca, si sono accorti di aver schierato un Volpino Pomerania Spitz (foto) sulla griglia di partenza di una corsa per cani da slitta, ed è così partita un’impietosa gara a mollarlo con meno garbo: l’ultimo è stato Giancarlo Giorgetti, sempre più leader-ombra della Lega grazie alle “fragilità esistenziali irrisolte” di Luca Morisi, “spirito guida” di Matteo Salvini. Il ministro leghista dello Sviluppo Economico non ha nascosto le sue simpatie per Carlo Calenda: «Se Calenda va al ballottaggio con Gualtieri – ha detto in un’intervista alla Stampa – ha buone possibilità di vincere». E ancora: «Al netto delle esuberanze, mi pare che abbia le caratteristiche giuste per amministrare una città complessa come Roma». Sempre al netto delle esuberanze, Calenda ha ricambiato l’inaspettato endorsement confessando che si troverebbe bene in un Governo con dentro Giorgetti, ma non con la Lega, che poi è il partito di Giorgetti: che suona un po’ come “Ti voglio bene ma solo come amico, quindi metti via quella scatola di Durex al gusto frutti di bosco che oltretutto scadono tra due giorni”.
Nel frattempo, a sinistra (si fa per dire…) c’è chi inizia a temere il grande bluff, ovvero un Calenda al ballottaggio al posto del mite (forse troppo mite…) Gualtieri, o addirittura un Calenda al ballottaggio contro il mite (forse troppo mite…) Gualtieri. Lo scenario al momento resta abbastanza improbabile, ma con quasi un romano su due che potrebbe restarsene serenamente a casa nulla è da escludere a priori. Per il Pd romano sarebbe l’ennesimo disastro: le varie correnti del non-partito capitolino, sicure di riprendersi il Campidoglio, hanno schierato le loro belle coppie (maschio-femmina, perché la parità di genere fa molto sinistra…) e persino un po’ di “riserve” da pesare sul bilancino degli equilibri interni in caso di vittoria clamorosa. Dovessero perdere la partita, darebbero un bel po’ di lavoro ai navigator del Reddito di Cittadinanza.
E adesso diamo un senso al titolo di questo articolo. Come si colloca Virginia Raggi in questa storia? Come già detto, il ballottaggio resta una chimera, un’ipotesi fantascientifica, un Luigi Di Maio che dibatte di geopolitica con Joe Biden nello Studio Ovale della Casa Bianca. Lo stesso Beppe Grillo, vestendola da gladiatrice in un improbabile fotomontaggio, ha celebrato il finale epico di quello che probabilmente sarà ricordato come il peggior sindaco della storia dell’umanità. Tuttavia, dall’entità della disfatta grillina potrebbe dipendere il futuro di Roma. Tradotto: con un’affluenza già molto bassa al primo turno e un Calenda fuori dal ballottaggio, una Raggi sopra il 15% potrebbe far volare sopra i 10 punti il distacco tra Michetti e Gualtieri, una soglia di rischio molto alta per il candidato del centrosinistra, perché difficilmente gli elettori del sindaco uscente andrebbero a votare al secondo turno per quello che evidentemente ancora considerano il partito di “mafia capitale”, facendo registrare un’astensione record nel giorno della verità. Con questo scenario, Calenda arriverebbe quarto e probabilmente indicherebbe Gualtieri, ma non è detto che tutto il suo variegato elettorato (i tanti Giorgetti de Roma…) lo seguirebbe. A quel punto a Michetti basterebbe evitare di indicare la conquista della Gallia come prima iniziativa della sua giunta per riportare al voto tutti gli elettori del primo turno e andare a vincere. Se al contrario Virginia Raggi al primo turno dovesse raccogliere un consenso in linea con i cinque anni della sua “amministrazione”, la vittoria di Gualtieri contro Michetti sarebbe abbastanza agevole, perché vorrebbe dire che buona parte dei voti “ceduti” dal centrosinistra al Movimento 5 Stelle cinque anni fa sono tornati all’ovile, malgrado tutto.
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