Partiti e politici
Il NO può vincere se votano in pochissimi
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Arrivano dunque i primi dati sull’affluenza. Alle 12, come sappiamo, la media dei votanti è stata di poco sopra il 12%, con una evidente e ovvia differenziazione tra i territori dove sono presenti anche le regionali (14,7%) e quelle dove non ci sono (11,3%). Se il trend dovesse continuare in questo modo, sarebbe piuttosto probabile che la percentuale finale dell’affluenza superi abbondantemente il 40%.
Benché il confronto con l’ultimo referendum costituzionale, quello di Renzi nel 2016, non sia omogeneo, poiché in quel caso la votazione si svolgeva in un’unica giornata, quattro anni fa alla stessa ora aveva votato il 20% degli italiani, con un’affluenza complessiva del 68% circa. Utilizzando gli stessi parametri di crescita, arriveremmo in questa occasione ad una percentuale finale del 41%. Ma ora gli elettori hanno a disposizione anche la mezza giornata di domani, ed è quindi possibile che si arrivi ad una partecipazione complessiva prossima al 50%.
Chi favorisce una quota di votanti di questo genere? Le previsioni basate sugli ultimi sondaggi (pubblicabili) ci informano che la vittoria del No è direttamente proporzionale alla decrescita dell’affluenza: più l’affluenza è bassa, quindi, più cresce la possibilità che il No superi il Sì. Ma quanto bassa? Una domanda piuttosto ardua. Le stime più accreditate dicono che per vincere il No ha bisogno di una partecipazione significativamente inferiore al 40%, più o meno intorno al 35%.
Questo perché l’elettorato maggiormente interessato agli esiti del referendum sono quelli più secolarizzati, che vivono nelle grandi città, più i maschi rispetto alle femmine, con ovviamente un livello di interesse per la politica maggiormente elevato. E sono proprio queste ultime le caratteristiche dell’elettore medio che ha intenzione di respingere la riforma costituzionale, votando No. Ora, la previsione di un’affluenza superiore al 40% dovrebbe rendere molto molto problematica la vittoria del No.
Ma è anche vero, ed è giusto sottolinearlo, che ci potrebbero essere stati negli ultimi giorni rilevanti cambiamenti in quell’elettorato leghista che, poco alla volta, sospinto dalle dichiarazioni di voto di importanti esponenti della Lega, ha mutato significativamente la propria intenzione di voto, passando dal Sì al No. E questi ultimi, in particolare nelle regioni dove la Lega è piuttosto forte, come nell’aree settentrionali del paese, dove si vota peraltro anche per le regionali, potrebbero incidere anche sugli esiti finali del referendum stesso.
La mia personale previsione è che avremo alla fine un risultato molto prossimo al 60-40 in favore del Sì, con una quota di No che si è incrementata in maniera sensibile rispetto ai sondaggi di soltanto un mese fa. Ma, come ho sottolineato in un precedente articolo, è probabile che i fautori del No abbiamo fatto una campagna piuttosto tardiva, impossibilitati in breve tempo a convincere un numero di elettori sufficienti per arrivare alla vittoria conclusiva.
Per quanto riguarda il risultato delle regionali, ci sarà una sicura vittoria del centro-destra in Veneto, Liguria e Marche (sottratta per la prima volta alla coalizione avversaria) e del centro-sinistra in Campania. Le altre due regioni, Toscana e Puglia, restano in bilico, e ne sapremo qualcosa suppongo in tarda serata di lunedì 21, perché gli exit-poll e le prime proiezioni non saranno in grado di indicare il sicuro vincitore. In questo caso, la mia previsione, che ovviamente può venir facilmente contraddetta in una competizione così equilibrata, è che entrambe le regioni restino alla fine nelle mani del centro-sinistra.
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